giovedì 30 gennaio 2014

Stamina, la mia storia - 5) Comincia l'inchiesta

Dopo la convention di Riva del Garda, dove eravamo riusciti nello scopo di mettere in contatto i giornalisti con i ricercatori e le associazioni e superato, senza grandi “perdite”, l’assalto via Facebook dei pro-Stamina, come Telethon decidiamo di tirarci fuori dalla mischia mediatica. In fondo quello che dovevamo dire lo avevamo detto. Adesso la palla era in mano alla politica e alla magistratura. Noi ci saremmo limitati ad interagire, come sempre, con i nostri interlocutori naturali: i pazienti, gli scienziati e i nostri donatori. E poi era in arrivo la notizia “bomba” dell’anno: la doppia pubblicazione su Science degli straordinari risultati del nostro istituto di Milano, il successo della terapia genica su due gravi malattie. C’era da scrivere il materiale, da preparare la conferenza stampa, da allertare i giornalisti.

Continuo però a seguire il caso Stamina. Tra rassegna stampa, agenzie, notizie sul web, telefonate e messaggi vari non passa giorno che non venga a conoscenza di qualche nuovo fatto. Anche se ormai lavoro su altro non riesco a staccarmi da questa storia, che sta diventando ogni giorno più assurda. Col ministro Balduzzi che prima chiede consiglio agli scienziati poi fa l’esatto opposto di quello che gli dicono. Con i giudici che ordinano ai medici di somministrare una terapia che non conoscono. Con le Iene che continuano col loro bombardamento mediatico e con decine di comitati Pro-Stamina che spuntano in tutta Italia. Si arriva al paradosso – come mi dirà qualche mese più tardi Umberto Ambrosoli, capo dell’opposizione nella Regione Lombardia – dei medici bresciani. Le istituzioni sanitarie, dopo l’ispezione dei Nas, impongono loro lo stop alle somministrazioni. I giudici fanno l’esatto opposto e ordinano di continuare con le infusioni.

Da giornalista penso a che razza di inchiesta ne verrebbe fuori. E in cuor mio mi mordo le mani per non poterla scrivere io. Quello che posso fare – e che infatti faccio – è di cercare qualche collega che se ne occupi al posto mio. E visto che i giornali li ho sentiti quasi tutti faccio un tentativo con la tv. Il primo con cui ne parlo è Andrea Vianello, da poco diventato direttore di RaiTre. Quando lo incontro lo trovo molto interessato. E ferratissimo sul tema. Mi racconta che anni prima, quando conduceva “Mi manda Rai Tre”, si era occupato di un caso simile, quello dell’azienda svizzera Beike, che prometteva la cura per molte malattie a base di cellule staminali. Anche in quel caso c’era stato il “lancio” delle Iene (che fortunatamente avevano fatto marcia indietro dopo un paio di puntate). E anche allora alcune famiglie disperate si stavano indebitando per andare a far “curare” i propri bambini fino in Cina. Anche grazie a “Mi manda Rai Tre”, che per l’occasione fece intervenire alcuni scienziati esperti di staminali, il Metodo Beike fu stoppato sul nascere. “Questa di Stamina sembra essere proprio la stessa cosa – mi disse Vianello – potremmo occuparcene e la persona adatta potrebbe essere Riccardo Iacona”.

Con Iacona ci eravamo conosciuti qualche anno prima. Lui aveva coraggiosamente costruito un programma, su RaiTre, dedicato agli scienziati ed intitolato “W la ricerca”. Io lo avevo intervistato per il “Telethon Notizie” e lo avevo invitato a partecipare, via Skype, ad una diretta web in occasione della convention degli scienziati di Telethon, a Riva del Garda. Così lo vado a trovare, parlandogli di Stamina e proponendogli di occuparsene, in una puntata di Presadiretta. Siamo nel mese di maggio. Qualche mese più tardi mi richiama e mi annuncia. “Facciamo la puntata”. Nel frattempo è successo che non lavoro più per Telethon e che dopo una decina d’anni passati ad occuparmi della comunicazione di un singolo ente (un’esperienza eccezionale, in un’organizzazione di prim'ordine) e a scrivere più o meno sempre le stesse cose, ora posso tornare ad occuparmi di altro. Così quando Iacona mi propone una consulenza per la puntata su Stamina che andrà in onda a gennaio non ci penso due volte.

Rifletterò più tardi che non era mica tanto vero che mi stavo occupando di altro. Anzi, a ben vedere la mia “fissa” per questa vicenda aveva origini ben più remote della mia collaborazione con Telethon. Risaliva a poco meno di trent’anni prima. Quando avevo passato venti mesi della mia vita con i ragazzi malati di distrofia muscolare e con le loro famiglie. Ero obiettore di coscienza e quello era stato il mio servizio civile. Avevo conosciuto “da dentro” cosa volesse dire convivere con una malattia gravissima e incurabile. Avevo fatto amicizia con tanti ragazzi, che negli anni se ne erano andati quasi tutti. Oggi, passati tanti anni da allora, non potevo sopportare che qualcuno sfruttasse la disperazione e il dolore di quelle persone. Sia che lo facesse per far soldi, che per fare audience. In buona o in cattiva fede.

sabato 25 gennaio 2014

Stamina, la mia storia - 4) Scienziati, pazienti e giornalisti

A Riva del Garda, nel mese di marzo del 2013, si svolge la Convention dei ricercatori finanziati da Telethon, un evento che si ripete ogni due anni. Per tre giorni l'elegante paesino circondato dalle montagne si riempie di scienziati, che fino a sera si confrontano all'interno del palazzo dei congressi per riversarsi poi in massa nei pochi pub e ristoranti del posto.

Ne ho seguite tante, di manifestazioni simili. E tutte le volte sono tornato a casa con sensazioni positive, pensando che sarebbe bello se i miei figli scegliessero la strada della ricerca. Qui si studiano, per curarle, le malattie genetiche. Una missione nobile, in uno dei pochi ambiti in cui parole come competizione, confronto, meritocrazia, cooperazione valgono ancora qualcosa. Mi fa sempre un gran bell'effetto assistere alle sessioni plenarie. Dal palco, di fronte a una platea di centinaia di persone, i ricercatori raccontano ai colleghi gli sviluppi e le prospettive dei loro studi. Parlano in inglese, utilizzano termini scientifici e descrivono progetti molto evoluti. Io non capisco nulla di quello che dicono, ma mi piace vedere il dibattito che segue le relazioni. Le tante domande pertinenti, articolate, che vengono rivolte allo scienziato che sta sul palco e a volte lo mettono in difficoltà. Tutto si svolge in maniera naturale, ordinata e produttiva. Così funziona la ricerca. Ogni idea, progetto, deve passare al vaglio dei colleghi, di persone che a loro volta avranno le loro idee da presentare. Penso a quanto sia raro assistere a spettacoli simili nel nostro Paese. A quanto sarebbe più comodo se tra gli scienziati si stabilisse una sorta di patto di non belligeranza: io approvo il tuo progetto, tu il mio. Siamo tutti contenti e poi magari ci mettiamo d'accordo per far carriera insieme. Non funzionano forse così le cose in Italia? Nella politica, nelle università?

Quest'anno a Riva del Garda ci sono anche le associazioni dei pazienti, venute per incontrare i ricercatori che studiano le loro malattie e per confrontarsi a loro volta sulle iniziative e le istanze comuni. In tutto, tra scienziati e pazienti, ci saranno ottocento persone. Come sempre invitiamo anche un gruppetto di giornalisti, delle più importanti testate, sperando trovino qualcosa che possa interessare i loro giornali. Quest'anno è più facile. E le possibilità che i giornali ci diano spazio sono molto più alte che in passato. E' appena scoppiato il caso Stamina. Sono partiti da poco i servizi delle Iene e sono uscite la lettera di Celentano e la risposta del nostro scienziato (a proposito, avevo personalmente invitato anche l'autore delle Iene, ma non era potuto venire). Nella prima giornata dei lavori organizziamo quindi una tavola rotonda, a cui invitiamo una decina, tra scienziati, medici e dirigenti di Telethon, alcuni rappresentanti di associazioni di pazienti, tutti genitori di bambini malati e il gruppo delle giornaliste (tutte donne).

Ne escono due ore di dibattito molto interessante. I giornalisti sono quasi tutti esperti in materie scientifiche ma di Vannoni e delle cellule staminali mesenchimali sanno ancora poco o niente. Fanno perciò, giustamente, le classiche domande dell'uomo della strada. Gli scienziati spiegano a che punto è la ricerca sulle malattie che Stamina sostiene di poter curare, descrivono gli sviluppi degli studi sulle staminali, le differenze tra le mesenchimali e le altre celllule e si soffermano a lungo su un concetto per loro scontato: nella ricerca o pubblichi i tuoi dati e ti confronti con la comunità scientifica, oppure non esiste. Ergo: "Stamina, per noi, non esiste. Checché ne dica la televisione".

Mi colpisce la testimonianza del padre di una bambina con la SMA, una delle (tante) malattie che Vannoni sostiene di poter curare. Racconta della drammatica spaccatura, avvenuta poche settimane prima nella sua associazione, tra genitori pro e contro Stamina. Delle accuse, dei toni violenti, della rabbia che si era aggiunta alla sofferenza. Lui era tra quelli che avevano scelto di continuare a seguire i medici e gli scienziati che si erano presi cura di sua figlia, da quando era nata. Queste le sue parole: "La disperazione di noi genitori è grande. Il bisogno di credere in qualcosa si fa sentire quotidianamente. Ma con quale diritto diamo il consenso sul corpo dei nostri bambini a sperimentazioni che non hanno alcun riscontro? Forse la loro vita vale meno perché sono malati? Il loro destino è morire e quindi possiamo permetterci di saltare ogni regola?".

Dopo il dibattito i lavori della Convention continuano e i giornalisti vanno a scrivere i loro pezzi. Il giorno dopo i principali quotidiani daranno spazio, per la prima volta da quando era esploso il caso, al parere dei ricercatori (a parte il Corriere della Sera che aveva pubblicato la risposta di Naldini a Celentano). Scienziati, pazienti e giornalisti si scambiano indirizzi email e numeri di telefono. E' l'inizio della controffensiva mediatica. Ma la "battaglia" a favore della scienza e delle persone malate sarà ancora molto lunga.

domenica 19 gennaio 2014

Stamina, la mia storia. 3) Nella tana delle Iene

La risposta di Luigi Naldini alla lettera di Celentano provoca, come prevedibile, la reazione delle Iene e dello stesso cantante. "Perché vi siete messi in mezzo - ci rimprovera l'autore del programma di Italia 1 con cui eravamo in contatto - chi ve lo ha fatto fare?". Obiezione tutto sommato sensata, se si pensa ai possibili contraccolpi sull'immagine della Fondazione e sulla sua raccolta fondi. E infatti dopo che le Iene, nella puntata successiva, tirano fuori il nostro "carteggio" con Celentano, con lo stesso artista che ci bacchetta perché "con tutti i soldi che raccolgono potrebbero pensare a salvare qualche bambini", da facebook cominciano a piovere gli insulti. "Non vi sostengo più", "Vergogna, invece di finanziare la ricerca vi mettete contro i bambini malati", è il tono dei tanti post che popolano le nostre pagine.

Il colmo, venire accusati di ostacolare la cura di malattie come la Leucodistrofia metacromatica, con tutti gli sforzi che stanno facendo i nostri scienziati. Eppure è proprio ciò che accade. Decidiamo allora di scrivere la nostra posizione e di farla girare su Internet. "Noi siamo dalla parte dei bambini malati e delle loro famiglie - specifichiamo - è per loro che esistiamo e per loro che finanziamo la migliore ricerca". Il comunicato spiegava poi che se ci eravamo permessi di mettere in guardia da facili entusiasmi era perché il mondo scientifico impone che si rendano noti i risultati del proprio lavoro, soprattutto quando questi sono così promettenti come sostenevano quelli di Stamina. Ma della loro "terapia", gli scienziati non sapevano nulla.

Sono i giorni in cui il ministro della Salute, Renato Balduzzi, da l'impressione di non sapere come gestire la patata bollente che si è trovato tra le mani. Vuole aiutare Sofia, anche perché è stufo di essere massacrato dalle Iene. Ma si rende conto che non può autorizzare una cura che nel frattempo è stata bocciata dall'Aifa e andar contro alla comunità scientifica, che nel frattempo ha cominciato a far sentire, in maniera netta e chiara, il suo parere contrario alla somministrazione di qualcosa che non si conosce. A complicare la cosa ci si mettono i giudici del lavoro, che in alcuni casi danno ragione ai familiari dei bambini malati (non c'è solo Sofia) e intimano all'Ospedale di Brescia di continuare il trattamento.

Mentre Stamina comincia ad entrare nelle stanze della politica, a Telethon arriva intanto l'offerta delle Iene ad un confronto televisivo nel quale chiarire la propria posizione. Un nostro rappresentante sarà intervistato da Giulio Golia e potrà dire ciò che pensa. Ci rendiamo conto di quanto sia rischiosa, un'intervista con le Iene. E avendo anche noi una certa esperienza televisiva sappiamo che con un sapiente lavoro di montaggio si può alterare il senso di un'intervista. Eppure decidiamo di andare e stabiliamo che a parlare sarà per noi un nostro consigliere di amministrazione, affetto lui stesso da una malattia genetica. Concordiamo le domande e ci diamo appuntamento in un albergo romano.

Il messaggio che vogliamo dare è lo stesso che abbiamo scritto nei comunicati. "Noi siamo dalla parte degli ammalati e della buona ricerca scientifica. Di Stamina non possiamo parlare, né bene né male, perché non sappiamo cosa sia". C'è tensione, durante l'intervista, ma sembra filare tutto liscio. Fino a quando non arriva la "sorpresa". Giulio Golia domanda al nostro rappresentante se allora, visto che non c'è niente contro Stamina, Telethon avrebbe niente in contrario ad un incontro con Vannoni. "Niente in contrario", rispondiamo. Golia pare soddisfatto: "Bene, si dà il caso che Vannoni sia a Roma, proprio da queste parti, vi dispiace se lo chiamiamo e gli diciamo di raggiungerci?".

"Ma guarda che coincidenza - faccio io - una vera carrambata" (la mia frase evidentemente piace agli autori delle Iene perché sarà poi messa in onda). Sta di fatto che nel giro di dieci minuti si presenta Davide Vannoni e quella che doveva essere un'intervista per spiegare le nostre ragioni diventa un faccia a faccia col fondatore di Stamina. Al quale, comunque, ribadiamo che non c'è nulla di personale nei suoi confronti ma che magari dovrebbe rendere noto il suo "metodo" e pubblicare i suoi dati, prima di chiedere ad un ospedale pubblico di somministrarlo a tanti bambini con malattie molto diverse tra loro. Vannoni non fa una piega: "Il metodo è pubblico - risponde - C'è il brevetto su Internet, basta cercarlo". Peccato che ancora oggi, a quasi un anno da quel giorno, nulla su Stamina sia stato pubblicato (a parte le indiscrezioni sugli atti - secretati - della prima commissione nominata Lorenzin) e che il brevetto a cui si riferiva Vannoni era in realtà una domanda di brevetto, bocciata negli Usa e in Europa.

Il servizio delle Iene finisce comunque con Vannoni e il rappresentante di Telethon che si stringono la mano. Pace fatta, insomma. E infatti da quel giorno gli attacchi su Facebook si riducono di molto.

martedì 14 gennaio 2014

Stamina, la mia storia - 2) Sofia e il Molleggiato

Tutto comincia in un pomeriggio dello scorso mese di marzo. Sono seduto a leggere email nel mio ufficio della sede romana della Fondazione Telethon. Entra un collega che mi parla della trasmissione delle Iene, che ha visto la sera prima. “Hanno raccontato la storia di Sofia, una bambina colpita da leucodistrofia metacromatica. I suoi genitori vogliono che le vengano infuse le cellule staminali, ma il ministro Balduzzi non lo permette”. Guardo poco la tv e seguo ancora meno le Iene, ma la notizia mi colpisce, perché la malattia di Sofia è una di quelle su cui gli scienziati di Telehton lavorano da più tempo. Ne abbiamo seguiti tanti, di bambini come Sofia. La sua è una malattia bastarda. Si manifesta a pochi mesi dalla nascita e porta alla morte nel giro di qualche anno, dopo che i bambini hanno progressivamente perso tutte le funzioni motorie e cognitive. Ne abbiamo visti tanti, di questi bambini. Sono venuti in tv, con i loro genitori, che si prestavano coraggiosamente a far da testimonial per la ricerca, pur sapendo che questa non avrebbe fatto in tempo a salvare i loro figli. Tutto ciò fino al 2010. Quell’anno, presso il nostro istituto di Milano era partito il primo trial clinico (sperimentazione sui bambini) della terapia genica che aveva avuto risultati straordinari sui modelli animali. Tre bambini, un libanese, un americano e un egiziano, si sottoponevano per la prima volta nel mondo ad una sperimentazione avveniristica. Le loro cellule staminali del sangue sarebbero state prelevate dal midollo osseo, poi in esse sarebbe stata introdotta una copia corretta del gene difettoso che sarebbe stato reinfuso, utilizzando come vettore il virus dell’Aids opportunamente “disattivato”. Quel giorno di tre anni prima, di fronte alle telecamere, Alessandra Biffi, la ricercatrice che lavorava all’esperimento, aveva pianto. Si era commossa pensando alle prospettive della ricerca e ai tanti bambini che purtroppo non erano arrivati in tempo. “Questa è una ragione per essere al mondo – aveva detto – e non so se riuscirei a continuare, nel caso il trial dovesse fallire”. Accadeva nel 2010. E nel 2013, passati tre anni dall’avvio della sperimentazione, avevamo la conferma che questa stava funzionando. I tre bambini stavano bene. Aspettavamo con ansia che la rivista Science, a cui era stato mandato il paper con la descrizione del trial, desse il via libera alla pubblicazione, per organizzare una grande conferenza stampa, in cui annunciare al mondo questa meravigliosa notizia. Insomma, con la leucodistrofia metacromatica giocavamo in casa, ma né noi, né tantomeno i nostri scienziati abbiamo mai sentito parlare del metodo Stamina e del professor Davide Vannoni. Con il collega ci riguardiamo su Internet la trasmissione delle Iene. Ne abbiamo viste tante, purtroppo, di storie simili. In tanti anni di lavoro per Telethon abbiamo imparato che è delicatissimo maneggiare le notizie che riguardano la salute delle persone, soprattutto quando si tratta di bambini. E di malattie inguaribili e poco conosciute. Quante volte avevamo letto titoli di giornali che annunciavano la cura, quando invece la ricerca si era limitata (e non è poco) a trovare il gene responsabile o a svelare i meccanismi cellulari. In quei giorni il nostro centralino veniva bombardato di telefonate: “Avete sentito?”, “Come faccio ad avere la cura?”, “Si applica pure alla malattia di mio figlio?”. E noi a spiegare, a scrivere comunicati, a raffreddare gli entusiasmi di genitori entusiasti. Finita la visione del lungo servizio televisivo il mio collega mi dice di essere amico di uno degli autori delle Iene. Gli dico di chiamarlo, per saperne di più. Si scopre così che l’amico è proprio l’autore del pezzo. E questi ci annuncia, in anteprima, di esser stato chiamato da Adriano Celentano, che ha visto la trasmissione, si è indignato per la bambina a cui viene negata la terapia e vuole scrivere, su questo, una lettera al Corriere della Sera. Grazie al nostro lavoro di ufficio stampa abbiamo molti contatti con il giornale di via Solferino. Perciò chiamo subito la redazione, cercando di parlare con qualcuno della direzione. Racconto del servizio delle Iene e della storia di Sofia e spiego che, da quanto ne sappiamo, sta per arrivare una lettera di Celentano. “E’ una materia delicata – dico accalorandomi al telefono – di quella terapia nessuno sa nulla. Bisogna stare attenti a non dare false aspettative. E poi c’è una ricerca molto promettente”. So, per aver lavorato in un quotidiano, che nessuno rinuncerà mai alla lettera aperta di un personaggio così famoso. Punto perciò ad avere spazio per un intervento di taglio più scientifico. Un pezzo, da mettere accanto a quello del Molleggiato, per spiegare meglio la malattia e lo stato della ricerca. Ma evidentemente Celentano ha chiesto l’esclusiva. E dal Corriere ci concedono solo un boxino di due righe, in fondo alla sua lettera, in cui si annuncia che il giorno successivo ci sarà la replica di Telethon sull’argomento. All’indomani leggiamo la lettera di Celentano, che racconta la storia di Sofia, accusa in maniera diretta il ministro della Salute, Renato Balduzzi e chiosa: “E’ per storie come queste che alle elezioni ha vinto Beppe Grillo”. Noi intanto lavoriamo alla nostra contro-replica. Decidiamo che la firma dovrà essere quella dello scienziato che dirige la sperimentazione sulla leucodistrofia e che il tono dovrà cercare di non essere offensivo. Ma il senso sarà chiaro: “Caro Celentano, lascia fare la ricerca agli scienziati”. La lettera di Celentano La risposta di Telethon http://www.corriere.it/salute/13_marzo_07/telethon-lettera-staminali_f74b40e2-870b-11e2-82ae-71d5d7252090.shtml

Stamina, la mia storia - 1) Cosa c'è da salvare

Terapie “miracolose” somministrate in ospedali pubblici senza che nessuno ne conosca la composizione. Malati che si dissanguano e si crocifiggono perché le stesse terapie vengano fornite a tutti, anche se sanno bene che per la loro malattia non servirebbero a nulla. Giudici che si sostituiscono ai medici e impongono le cure da somministrare, altri giudici che bocciano il parere di fior di scienziati perché nella commissione da loro formata non è stata rispettata la par condicio (erano tutti convinti che due più due fa quattro e non ce n'era nemmeno uno che sosteneva che facesse cinque). Giornalisti o pseudo tali che al grido di "noi raccontiamo soltanto una storia" creano un movimento d'opinione intorno ad una bufala cosmica e sacrificano sull'altare dell'audience decine di famiglie già provate da malattie devastanti. Uno vede il caso Stamina ed ha l'ennesima conferma che l'Italia è un Paese alla frutta, che magari i figli se ne vadano a studiare all'estero e che chissà che un giorno non li raggiunga pure io. Eppure, forse, qualcosa da salvare c'è, in questa pazza e italianissima storia. E nel racconto della mia personale avventura con Stamina voglio partire da lì. Dalle tante famiglie con bambini affetti da gravissime patologie degenerative che hanno cercato di difendere la verità - e cioè che per i loro figli purtroppo una cura non c'è ancora, ma che se li si accudisce con l'aiuto di medici e terapisti possono vivere in maniera dignitosa le loro difficili vite - dagli attacchi di altre famiglie che, pompate dai re dell'audience, li accusavano di volere la morte per i propri figli. Oppure da quelle famiglie che hanno tentato con Stamina, perché in mancanza di soluzioni uno le prova tutte, ma non per questo hanno preso ad insulti, attraverso i social network, chi invece non ci credeva. E che dire degli scienziati e dei medici. Ne conosco alcuni che hanno sacrificato giornate e nottate per rispondere colpo su colpo alle panzane di Davide e Golia (lo psicologo esperto di mesenchimali e l'anchorman che racconta solo una storia
), per metter su una vera contro-inchiesta giornalistica aspettando che i giornalisti veri si svegliassero o per svegliarli direttamente, quando capivano che il sonno era troppo profondo. Giornalisti, anche tra loro c'è stato qualcuno che si è appassionato alla questione. A parte gli addetti ai lavori, che per mesi hanno predicato nel deserto, c'è stato da subito chi ha capito cosa stava avvenendo e si è messo al lavoro per raccontarlo. Ma si è trattato, purtroppo, di mosche bianche, soprattutto in ambito televisivo (che in Italia, Berlusca docet, è quello che conta). Tra le cose che mi hanno sorpreso in positivo voglio citare un ministro, anzi una ministra. Al di là delle azioni politiche, che mi sono sembrate tutte (o quasi) dettate dal buon senso, mi ha colpito la passione. Magari mi sbaglio, ma guardandola, da vicino, durante un'intervista, ho visto in lei la fatica per la gestione di una patata bollente come poche, ma anche la determinazione di chi vuole superare gli ostacoli, per quanto ardui essi siano. E l'impegno, che ha promesso (e su cui la aspettiamo al varco) per far sì che da subito si crei una rete di sostegno per le famiglie dei malati. Un intervento concreto per combattere la solitudine e l'abbandono, che poi sono le cause vere che fanno nascere e crescere i Vannoni di turno.

Stamina, la mia storia - Premessa

E’ un po’ che mi dico che devo scrivere qualcosa su Stamina. L’idea mi era venuta prima dell’estate scorsa, dopo avere passato settimane a leggere ogni sorta di articolo, post o agenzia sull’argomento e dopo avere trascorso ore al telefono con scienziati, familiari di malati, giornalisti e autori vari. Ma è da quando ho smesso di lavorare per Telethon e sono a tutti gli effetti tornato ad essere un giornalista free lance che la tentazione è diventata più forte.

Poi mi ha chiamato Riccardo Iacona, a cui avevo proposto di occuparsi del tema, mesi prima. Mi ha detto che avrebbe fatto la puntata su Stamina per Presadiretta e sapendo che ero “su piazza” mi ha coinvolto nella trasmissione. Ho così messo da parte, per un paio di mesi, le mie velleità letterarie e mi sono concentrato sull’inchiesta televisiva. Facendolo ho ripercorso tutta la storia, ho incontrato nuovi testimoni e appreso nuovi fatti.

Ora che Presadiretta è andata in onda non ho più scuse. Per questo ho aperto un blog e ho cominciato a scrivere. Dovevo però decidere cosa scrivere e che taglio dare al racconto, visto che sulla vicenda si erano espressi in tanti e che tutto era stato abbondantemente sviscerato. La decisione è stata allora quella di raccontare semplicemente la mia storia con Stamina, dal primo giorno in cui ne ho sentito parlare ad oggi, anzi a domani, perché il caso è ancora tutt’altro che concluso e che anche se magari in futuro mi occuperò di altro continuerò a seguirlo con attenzione. Vediamo cosa ne esce.

mercoledì 8 gennaio 2014

Stamina, la mia storia (anteprima)

Questa parola fa parte della mia vita da quasi un anno, nove mesi per l'esattezza. Da quando, un giorno, un collega della Fondazione Telethon mi disse che le Iene avevano fatto un servizio su Sofia, una bambina con la leucodistrofia metacromatica. Il giorno dopo il Corriere della Sera diede una pagina ad Adriano Celentano, che parlava della stessa bambina. Poi... nulla fu più come prima. Nel giro di qualche mese ho smesso di lavorare per Telethon (non di fare il tifo per la loro ricerca)e mi sono messo "su piazza", ma Stamina, con tutto il suo popolo fatto di scienziati, famiglie di malati e "tifosi" vari, non mi ha abbandonato. Ho ripreso i contatti con Riccardo Iacona, con cui avevo parlato di questa vicenda prima dell'estate. Insieme a lui, e alla bravissima Liza Boschin, ci siamo messi a lavorare ad una puntata di Presadiretta, interamente dedicata. La vedrete su Raitre, lunedì 13 gennaio, a partire dalle 21.05. Sarà il mio personalissimo parto, giusto nove mesi dopo. Fino a quel giorno non voglio anticipare nulla. Poi ci sarà modo di parlarne ancora, di raccontarvi la mia storia e quella delle tante persone che ho incontrato in questi mesi. E per ascoltare commenti, critiche e suggerimenti. Per adesso buona visione. E a presto!

venerdì 3 gennaio 2014

Questo blog

Su piazza è il titolo che ho dato, per gioco, ad un post pubblicato su Facebook all'indomani della chiusura di un rapporto di lavoro che durava da oltre quindici anni. Ero a tutti gli effetti "su piazza", in cerca di nuovi impieghi. Ma la piazza è anche il posto dove accadono le cose, dove si incontrano le persone, si raccontano e si ascoltano le storie. Su piazza allora avrei potuto tornare a fare il mio mestiere: il giornalista. A dare spazio ad avvenimenti interessanti, a raccogliere opinioni e testimonianze, a scrivere. La scommessa di questo blog è tutta qui. Vediamo cosa ne esce fuori.