sabato 15 febbraio 2014

Il bambino più forte del mondo

Se n'è andato all'improvviso, lasciando tutti sconvolti. Francesco, detto Ciccio, era un bambino napoletano di sette anni affetto da una grave malattia genetica. Non così grave, però, da portarlo via in questo modo. A Telethon lo avevamo praticamente adottato, e anche dopo essere uscito dalla Fondazione mi tenevo in contatto con Nadia e Antonio, i suoi genitori. Avevano creato una pagina su facebook, l'avevano intitolata "Storia di Francesco" e la popolavano ogni giorno di frasi e foto bellissime, piene di vita e d'amore. Se potete andateci anche voi. E lasciate loro un messaggio.

Comunque non riesco a non pensare a lui, stasera. E ho ritrovato una cosa che avevo scritto, più di un anno fa. La ripubblico qui, di seguito. La dedico a lui, a Ciccio, al bambino più forte del mondo. E ai suoi fantastici genitori.

Il bambino più forte del mondo

L’ultima scena del filmato è ancora negli occhi del pubblico quando si accendono le luci sul palco. C’è un bambino disteso supino, sul pavimento di casa sua. Stende le braccia e tira su un cuscino, con lo sforzo degno di un campione di sollevamento pesi. Qualche fotogramma prima lo si era visto tenere in mano i pupazzi dei super eroi. Hulk, Superman, La Cosa. Come tutti i bambini del mondo, nel gioco li aveva sfidati e battuti. Persino lui, che fatica ad alzare un cuscino.

Nello studio c’è un silenzio assoluto. Il presentatore ne ha visti tanti di video così. Eppure non può farci nulla, la voce gli trema. Le lacrime vanno trattenute perché c’è la diretta televisiva. “The show must go on”. C’è una sorta di salottino, al centro del palcoscenico. Oltre al presentatore c’è lui, Francesco, per tutti Ciccio, “il bambino più forte del mondo”. Ci sono i suoi genitori. Giovani, attenti, emozionati. E poi c’è un signore più anziano. Una bella faccia, uno sguardo rassicurante, occhiali, baffetti grigi. Potrebbe sembrare il nonno di Ciccio. Invece è lui il suo eroe, anche se il bambino non lo sa. Ed è un eroe Generoso, come il nome che porta.

Non è la prima volta che s’incontrano, Francesco e Generoso. Ma questa, anche se sono in tv, presentati da Fabrizio Frizzi e davanti a milioni di spettatori, è sicuramente la meno importante. In comune, “nonno” e bambino, hanno Napoli, la città dove sono nati e vivono entrambi e una grave e rara malattia genetica, la Glicogenosi di tipo II, anche detta morbo di Pompe. Che Generoso studia e combatte da vent’anni. Mentre Ciccio, purtroppo, porta con sé dalla nascita.

Il morbo di Pompe è una patologia ereditaria trasmessa dai genitori che spesso non sanno di esserne portatori, proprio come è successo ad Antonio e Nadia Caputo, il papà e la mamma di Ciccio. E’ provocata dal malfunzionamento dei lisosomi, una sorta di “spazzini molecolari” incaricati di smaltire i rifiuti prodotti dalle cellule. In particolare, in questa malattia, un difetto genetico causa la carenza di un enzima necessario per eliminare uno zucchero, il glicogeno, che quindi, in caso di malattia, si accumula nei tessuti e li danneggia. Il risultato è che muscoli e cuore perdono progressivamente la forza, con conseguente incapacità di camminare ed insufficienza respiratoria.

Nel caso di Francesco i genitori si accorgono che qualcosa non va quando ha 18 mesi e dopo una febbre molto alta smette di camminare. La visita del pediatra, le analisi, le prime paure, il ricordo di altri episodi dei mesi precedenti cui non era stata data importanza. Il primo sospetto si chiama distrofia muscolare. Poi altre analisi, una biopsia muscolare e la diagnosi definitiva. Nel dramma in cui precipita la famiglia c’è però una luce di speranza. Al Policlinico Federico II, Nadia e Antonio incontrano il professor Generoso Andria, che spiega loro che per la Glicogenosi di tipo II esiste un rimedio. Una medicina che si chiama Miozyne, una terapia enzimatica sostitutiva (l’enzima mancante viene reintrodotto via endovenosa), che non cura la malattia ma ne rallenta il decorso e previene i disturbi cardiaci.

La terapia era stata messa a punto pochi anni prima, negli Stati Uniti, da uno scienziato che aveva potuto sviluppare le sue ricerche grazie ai fondi di una piccola azienda farmaceutica, messa su da un uomo i cui due figli erano affetti dal morbo di Pompe (la storia è stata recentemente raccontata nel film “Misure straordinarie”, con Harrison Ford nella parte del ricercatore, ndr). Generoso Andria conosce bene la storia di quella medicina. Nel raccontarla la sua mente torna al 2006, anno in cui nasceva Francesco e in cui dagli Stati Uniti arrivavano le prime notizie sul Miozyne. In Italia invece era scoppiato il caso di Rossella, una bambina napoletana che a soli 9 mesi di vita era stata data per spacciata perché affetta proprio dal morbo di Pompe. I suoi genitori erano venuti a sapere dei promettenti risultati dei ricercatori americani e purché Rossella avesse quella medicina si erano incatenati davanti all’ospedale dove era ricoverata. La cosa finì sui giornali e grazie all’appoggio dell’équipe di Andria e all’intercessione del ministro della Salute la piccola ebbe la sua medicina. Non ce la fece, invece, un’altra bambina, nelle stesse condizioni di Rossella, che si presentò da Andria pochi mesi dopo. Il farmaco non arrivò in tempo e lei morì.

Sono passati sei anni, ma la foto di quella sfortunata bambina è ancora sulla scrivania di Generoso Andria, a ricordargli perché e per chi continuare a lottare. Intanto Ciccio cresce. Non può camminare, ma ha cominciato ad andare a scuola. La sua vita e quella di Antonio e Nadia è scandita dalle terapie. Un’infusione che dura quattro ore, da fare ogni due settimane e una fisioterapia giornaliera.

Anche se i due si vedono raramente il professor Andria continua a stare al suo fianco. Oggi coordina uno studio clinico, finanziato da Telethon, che in quattro centri italiani (Napoli, Firenze, Milano e Pavia) sta sperimentando un farmaco in grado di migliorare gli effetti della terapia enzimatica. Lo studio riguarda tredici bambini. Ciccio è uno di questi.

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