martedì 14 gennaio 2014

Stamina, la mia storia - 2) Sofia e il Molleggiato

Tutto comincia in un pomeriggio dello scorso mese di marzo. Sono seduto a leggere email nel mio ufficio della sede romana della Fondazione Telethon. Entra un collega che mi parla della trasmissione delle Iene, che ha visto la sera prima. “Hanno raccontato la storia di Sofia, una bambina colpita da leucodistrofia metacromatica. I suoi genitori vogliono che le vengano infuse le cellule staminali, ma il ministro Balduzzi non lo permette”. Guardo poco la tv e seguo ancora meno le Iene, ma la notizia mi colpisce, perché la malattia di Sofia è una di quelle su cui gli scienziati di Telehton lavorano da più tempo. Ne abbiamo seguiti tanti, di bambini come Sofia. La sua è una malattia bastarda. Si manifesta a pochi mesi dalla nascita e porta alla morte nel giro di qualche anno, dopo che i bambini hanno progressivamente perso tutte le funzioni motorie e cognitive. Ne abbiamo visti tanti, di questi bambini. Sono venuti in tv, con i loro genitori, che si prestavano coraggiosamente a far da testimonial per la ricerca, pur sapendo che questa non avrebbe fatto in tempo a salvare i loro figli. Tutto ciò fino al 2010. Quell’anno, presso il nostro istituto di Milano era partito il primo trial clinico (sperimentazione sui bambini) della terapia genica che aveva avuto risultati straordinari sui modelli animali. Tre bambini, un libanese, un americano e un egiziano, si sottoponevano per la prima volta nel mondo ad una sperimentazione avveniristica. Le loro cellule staminali del sangue sarebbero state prelevate dal midollo osseo, poi in esse sarebbe stata introdotta una copia corretta del gene difettoso che sarebbe stato reinfuso, utilizzando come vettore il virus dell’Aids opportunamente “disattivato”. Quel giorno di tre anni prima, di fronte alle telecamere, Alessandra Biffi, la ricercatrice che lavorava all’esperimento, aveva pianto. Si era commossa pensando alle prospettive della ricerca e ai tanti bambini che purtroppo non erano arrivati in tempo. “Questa è una ragione per essere al mondo – aveva detto – e non so se riuscirei a continuare, nel caso il trial dovesse fallire”. Accadeva nel 2010. E nel 2013, passati tre anni dall’avvio della sperimentazione, avevamo la conferma che questa stava funzionando. I tre bambini stavano bene. Aspettavamo con ansia che la rivista Science, a cui era stato mandato il paper con la descrizione del trial, desse il via libera alla pubblicazione, per organizzare una grande conferenza stampa, in cui annunciare al mondo questa meravigliosa notizia. Insomma, con la leucodistrofia metacromatica giocavamo in casa, ma né noi, né tantomeno i nostri scienziati abbiamo mai sentito parlare del metodo Stamina e del professor Davide Vannoni. Con il collega ci riguardiamo su Internet la trasmissione delle Iene. Ne abbiamo viste tante, purtroppo, di storie simili. In tanti anni di lavoro per Telethon abbiamo imparato che è delicatissimo maneggiare le notizie che riguardano la salute delle persone, soprattutto quando si tratta di bambini. E di malattie inguaribili e poco conosciute. Quante volte avevamo letto titoli di giornali che annunciavano la cura, quando invece la ricerca si era limitata (e non è poco) a trovare il gene responsabile o a svelare i meccanismi cellulari. In quei giorni il nostro centralino veniva bombardato di telefonate: “Avete sentito?”, “Come faccio ad avere la cura?”, “Si applica pure alla malattia di mio figlio?”. E noi a spiegare, a scrivere comunicati, a raffreddare gli entusiasmi di genitori entusiasti. Finita la visione del lungo servizio televisivo il mio collega mi dice di essere amico di uno degli autori delle Iene. Gli dico di chiamarlo, per saperne di più. Si scopre così che l’amico è proprio l’autore del pezzo. E questi ci annuncia, in anteprima, di esser stato chiamato da Adriano Celentano, che ha visto la trasmissione, si è indignato per la bambina a cui viene negata la terapia e vuole scrivere, su questo, una lettera al Corriere della Sera. Grazie al nostro lavoro di ufficio stampa abbiamo molti contatti con il giornale di via Solferino. Perciò chiamo subito la redazione, cercando di parlare con qualcuno della direzione. Racconto del servizio delle Iene e della storia di Sofia e spiego che, da quanto ne sappiamo, sta per arrivare una lettera di Celentano. “E’ una materia delicata – dico accalorandomi al telefono – di quella terapia nessuno sa nulla. Bisogna stare attenti a non dare false aspettative. E poi c’è una ricerca molto promettente”. So, per aver lavorato in un quotidiano, che nessuno rinuncerà mai alla lettera aperta di un personaggio così famoso. Punto perciò ad avere spazio per un intervento di taglio più scientifico. Un pezzo, da mettere accanto a quello del Molleggiato, per spiegare meglio la malattia e lo stato della ricerca. Ma evidentemente Celentano ha chiesto l’esclusiva. E dal Corriere ci concedono solo un boxino di due righe, in fondo alla sua lettera, in cui si annuncia che il giorno successivo ci sarà la replica di Telethon sull’argomento. All’indomani leggiamo la lettera di Celentano, che racconta la storia di Sofia, accusa in maniera diretta il ministro della Salute, Renato Balduzzi e chiosa: “E’ per storie come queste che alle elezioni ha vinto Beppe Grillo”. Noi intanto lavoriamo alla nostra contro-replica. Decidiamo che la firma dovrà essere quella dello scienziato che dirige la sperimentazione sulla leucodistrofia e che il tono dovrà cercare di non essere offensivo. Ma il senso sarà chiaro: “Caro Celentano, lascia fare la ricerca agli scienziati”. La lettera di Celentano La risposta di Telethon http://www.corriere.it/salute/13_marzo_07/telethon-lettera-staminali_f74b40e2-870b-11e2-82ae-71d5d7252090.shtml

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