giovedì 18 dicembre 2014

Ciao Franco, amico mio



Ehi Franco, come va? Che si dice da quelle parti? Hai visto che "botto" la notizia del tuo addio? Hai dato un'occhiata a Facebook e twitter? Hai letto le news su Google? Perfino Renzi ha voluto ricordarti. Ha detto che ti dedicherà la riforma del Terzo settore. "Purché la faccia. E in fretta", avresti commentato tu, magari aggiungendo qualcosa sugli ennesimi tagli ai servizi per i disabili.
Te ne sei andato in grande stile, eh? Come compagna di viaggio hai voluto nientemeno che Virna Lisi. Mi pare di vederti, che la seduci con la tua voce suadente e i tuoi occhi da piacione.

E' tutto il giorno che penso di scriverti qualcosa. Che mentre leggo le centinaia di messaggi d'amore e di stima che ti arrivano dalla rete, cerco di riordinare i ricordi e di scacciare la tristezza. Ecco che arrivano alcuni flash. Il primo giorno che ti vidi, 28 anni fa, non ricordo dove. C'era l'assemblea nazionale della Uildm e io, giovane obiettore di coscienza e aspirante giornalista, venni a sentirti parlare in un convegno dedicato alla comunicazione e la disabilità. Oppure la volta che arrivasti a Roma in macchina, qualche anno dopo, insieme a Nadia, tua moglie. Ricordo che vi vidi scendere, ognuno dalla sua portiera, tirar fuori le sedie a ruote da dietro il sedile, aprirle, montare le pedane, chiudere la macchina e seguirmi per strada. Tutto in pochissimi minuti, manco fosse il cambio gomme di una Formula 1.

E la volta che ti feci conoscere mio figlio, ricordi? Lui era molto piccolo, avrà avuto due o tre anni. Ti vide e ti chiese, diretto: "Come mai sei così grasso?". La cosa ti colpì parecchio. E due giorni dopo, ospite del Maurizio Costanzo Show, raccontasti la storia del figlio del tuo amico, che invece della carrozzina aveva notato la tua pancia. Usasti l'aneddoto per spiegare che la disabilità e l'handicap sono concetti relativi. Ma il giorno dopo ti mettesti a dieta.

Come dimenticare poi quel giorno, l'11 settembre del 2001. Eravamo venuti a trovarti a casa, io e Catia, la nostra socia nell'agenzia "La redazione". C'era la tv accesa e vedemmo insieme gli aerei che si schiantavano contro le torri gemelle. Quel giorno, racconterò ai miei nipoti, ero a casa di Franco. Un amico, di una grande persona. Con Catia, in quel periodo, giravamo l'Italia a parlar di Telethon nelle televisioni locali. Ti chiamavamo Zoommolo e ti sfottevamo perché ti piaceva farti riprendere dalle telecamere.

Qualche anno dopo mi chiamasti dopo aver chiuso con uno dei tuoi tanti lavori. Cercavi un giornale dove poter riprendere a scrivere. Io lavoravo per Vita, ti misi in contatto con Riccardo Bonacina e da lì partì una felicissima collaborazione durata fino ad oggi. L'anno scorso ricambiasti il favore. Ero io ad aver perso il lavoro e fosti tu a farmi entrare nella redazione degli Invisibili, lo straordinario blog del Corriere della Sera.

Sono venuto a salutarti all'ospedale, qualche giorno fa. Mi avevano detto che la situazione era molto grave ma ti ho trovato forte e combattivo, come al solito. "Voglio combattere anche questa battaglia", mi hai detto. Poi abbiamo parlato di politica ("non fa per me, non mi ricandiderei più", mi avevi confessato), del tuo libro quasi terminato, di nuovi progetti da portare avanti. E invece stavolta non ce l'hai fatta.

Oggi pomeriggio, mentre vagavo su Internet a cercare pensieri su di te, mi sono imbattuto in quello che probabilmente è il tuo ultimo articolo. Un pezzo per Superabile (Superabile, Invisibili, tutti nomi inventati da te), che si chiudeva con queste parole. "Forza giovani, scatenatevi. Io vorrei riposarmi".

Riposa in pace, amico mio. E grazie di tutto.

(nella foto sono insieme a Franco, a Francesca Pasinelli e a Megane Gale, direi almeno 15 anni fa)






lunedì 6 ottobre 2014

Stamina, la mia storia. 8) Intanto la ricerca, quella vera, progredisce

L'ultima volta che avevo scritto qualcosa su Stamina era lo scorso mese di marzo. Il ministro Lorenzin aveva appena nominato la terza commissione ministeriale per stabilire, una volta per tutte, se sul metodo a base di cellule staminali mesenchimali messo a punto dall'esperto di comunicazione persuasiva (sic!)  Davide Vannoni, potesse o meno essere fatta una regolare sperimentazione. Mi chiedevo, all'epoca, chi avrebbe preso a cuore le sorti delle famiglie dei bambini malati, visto che l'attenzione si stava attenuando. "E adesso, quei malati?" titolavo il post su questo blog.  

Da allora sono passati sette mesi. Un periodo calmo, mediaticamente parlando. A parte qualche notizia sull'avvio del processo a Torino e sulle traversie degli Spedali civili di Brescia (infusioni sì, infusioni no, infusioni "precettate", infusioni vietate), di Stamina si era parlato molto meno. 

Fino al 2 ottobre scorso, quando la commissione della Lorenzin ha emesso il suo parere, che assomiglia in tutto e per tutto a quello della prima commissione: "niente sperimentazione, per totale assenza di dati da esaminare". Il giorno dopo il ministro si è affrettata a dire che i 3 milioni di euro stanziati per studiare Stamina saranno destinati alla ricerca sulle malattie rare. E Vannoni, tanto per cambiare, ha preannunciato l'ennesimo ricorso al Tar.

Per fortuna però, senza aspettare i tre milioni del ministero, la ricerca scientifica, quella seria, non si è mai fermata. E lo stesso 2 ottobre, mentre Stamina subiva l'ennesima bocciatura l'associazione Famiglie SMA, annunciava insieme al policlinico Gemelli di Roma l'avvio di due sperimentazioni cliniche sulla atrofia muscolare spinale (SMA), la malattia di gran parte dei bambini "testimonial" del metodo Vannoni, con la regia televisiva delle Iene. La buona notizia è che per la prima volta nel mondo stanno partendo (anche in Italia)  i test sui bambini malati dei farmaci che hanno funzionato in laboratorio e sul modello animale. Il che, meglio ribadirlo, non vuol dire affatto che sia stata trovata la cura. Per quella, se tutto va bene, ci vorranno ancora anni. E' indubbio però che grazie al lavoro di tanti scienziati quel traguardo che fino a pochi anni fa sembrava irraggiungibile oggi è sicuramente più in vista. 

Degli straordinari progressi degli scienziati sulla SMA avevo parlato in un articolo per il Corriere della Sera. E in un post sul blog "Invisibili" del sito del Corriere, qualche giorno fa, ho messo in relazione la bocciatura di Stamina con l'avvio dei trial clinici. 

Qui mi preme mandare un pensiero d'affetto per tutte le famiglie dei bambini malati. Per quelle che nel nome della scienza hanno saputo resistere alle sirene di chi prometteva cure miracolose. E per quelle che, invece, essendosi fidate del "persuasore", negli ultimi mesi si erano sentite lasciate sole. La ricerca, quella vera, va avanti anche per loro. 

PS. Per informazioni sull'atrofia muscolare spinale, sulla ricerca e sul lavoro dell'associazione: http://www.famigliesma.org/

mercoledì 25 giugno 2014

"Dopo di noi". È importante, facciamolo

"È una cosa importante, facciamolo!". Così ho risposto, un mesetto fa, alla mia amica Ileana Argentin, quando mi ha proposto di darle una mano per fare in modo che il Parlamento approvasse, finalmente, una legge sul "dopo di noi".
È importante perché, se qualcuno non lo sapesse, il "dopo di noi" riguarda la vita di migliaia e migliaia di persone disabili, il giorno che i loro genitori non ci saranno più. E Ileana, per chi non la conoscesse, è una donna disabile, con una gravissima malattia genetica neuro degenerativa, che invece di starsene a casa a guardare la televisione ha pensato bene di studiare, laurearsi e mettersi in politica, arrivando ad essere deputato, alla sua seconda legislatura, nelle fila del Pd.
Una legge sul "dopo di noi", lo sanno bene gli addetti ai lavori, è un po' come la tela di Penelope. Se ne parla da decenni, si fanno e si disfano decine di progetti ma poi, quando arriva il momento di votarla e di approvarla, c'è sempre un buon motivo per rimandare. Fino a che non cambia il governo e si deve ricominciare da capo.
"Questa potrebbe essere la volta buona - mi ha spiegato Ileana  - oltre al mio ci sono altri due progetti di legge simili, che verranno discussi in commissione Affari sociali della Camera, a partire da metà giugno. E pare che siano stati trovati anche i soldi per il fondo di sostegno. Tutte buone notizie, ma per evitare che anche stavolta l'iter si blocchi dobbiamo farci sentire, uscire sui giornali, andare in tv. I parlamentari devono capire quanto questo problema sia sentito e urgente". Poi mi ha raccontato di un suo conoscente, vicino di casa, che pochi mesi fa, dopo che a sua moglie era stato diagnosticato un tumore, ha ucciso lei e il figlio disabile.
È una cosa importante, ci siamo detti. Facciamolo! E ci siamo ricordati di quando, quattordici anni fa, quasi per scherzo, avevamo organizzato una sfilata di moda per modelle disabili nel bel mezzo della settimana romana dell'Alta moda. Quella volta finì con la foto di Ileana (che quanto a vanità non la batte nessuno) in abito da sposa firmato Gattinoni, sui giornali di mezzo mondo.
Stavolta la vanità non c'entra. E non c'è nulla da scherzare. Ma la sfida è davvero importante, così siamo partiti.
Per prima cosa abbiamo fatto una petizione, su Change.org, indirizzata ai presidenti di Camera e Senato e a tutti i capogruppo dei vari partiti. L'obiettivo è di metter loro fretta, in modo di arrivare all'approvazione entro il prossimo 3 dicembre, giornata internazionale della disabilità. La petizione è partita stamattina, poco prima di mezzogiorno, e in poche ore ha raccolto la bellezza di 24 mila firme. È commovente leggere i commenti lasciati da chi ha firmato. In tanti raccontano di vivere il problema quotidianamente e di conoscere bene quell'angoscia per il "dopo". E chi non è toccato direttamente parla di bisogno di civiltà e di un paese che non può e non deve dimenticarsi dei più deboli.
Per ora è tutto, ma seguiranno aggiornamenti, statene certi. Ora però tocca a voi. Se non lo avete già fatto firmate, condividete e fate girare. E se lo avete fatto rifatelo. È importante. Davvero.

giovedì 12 giugno 2014

RicerchiAmo, per chi non vuole tornare al Medio Evo

 In tempi difficili, per la ricerca italiana, c'è un gruppo di giovani studenti, dottorandi e ricercatori che si sta dando un gran da fare per difendere le ragioni della scienza dell'oscurantismo e dal credulonismo imperanti. E' quasi commovente che a prendere le parti della scienza, nella patria di Galileo Galilei, siano giovani disoccupati e precari, che invece di fuggire all'estero dedicano energie e creatività alla loro battaglia.
 Segnalo quindi questa manifestazione di sabato prossimo, organizzata da Pro-Test Italia a Milano. E pubblico di seguito il loro comunicato stampa.




Sabato, 14 Giugno 2014 - Ore 15.30/18.30
Via Mercanti – Milano


RicerchiAmo
La ricerca ogni anno salva milioni di vite, anche chi la ostacola
Introduce e modera:
Dario Padovan, Presidente di Pro-Test Italia
Interventi e Testimonianze:
Marco delli Zotti, Comitato Scientifico Pro-Test Italia, Massimiliano Filippi Segretario Generale di Federfauna, Giuliano Grignaschi, IRCCS istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Charlotte Kilstrup-Nielsen, Ricercatrice dell’Università dell’Insubria (esperta della sindrome di Pro-Rett), Nadia Malavasi, Presidente onorario Thalidomici Italiani Onlus, Ambra Marelli, Vice-Presidente di Pro-Test Italia,Renato Massa, naturalista, Andrea Menni, Associazione Smaisoli, papà di un ragazzo affetto da SMA, Lucia Monaco, direttore scientifico Telethon, Alessandro Papale, ricercatore IRCCS Ospedale San Raffaele - Milano, Silvia Piol, Comitato Scientifico Pro-Test Italia, Ivan Tavella, Comitato Vita indipendente, affetto da atrofia muscolare, Angelo Troi, Presidente Società Italiana Veterinari Liberi Professionisti (SivelP), Luisella Vitali, Mamma di una bimba affetta dalla sindrome di Pro-Rett, Giulia Volpato, Vice-Presidente associazione Sindrome ECC, affetta da sindrome EEC, Prof. Rolf Zeller - Base Declaration Society- Svizzera

Parteciperà anche, condizioni permettendo, Caterina Simonsen, la giovane affetta da quattro malattie genetiche, oggetto nei mesi scorsi di numerosi insulti e minacce di morte via internet da parte di estremisti animalisti.

Pro-Test Italia, l’Associazione di giovani ricercatori e studenti che difendono le ragioni della ricerca biomedica, con il tema della manifestazione di quest’anno, si prefigge di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica non solo sulla necessità di contrastare la disinformazione delle organizzazioni animaliste nei confronti della sperimentazione biomedica e, in particolare, dell’utilizzo degli animali nei laboratori di ricerca. Vuole altresì esprimere la grande preoccupazione per i tanti che, in posizioni diverse di responsabilità, mettono in discussione la validità del metodo che la comunità scientifica internazionale si è data per valutare sicurezza ed efficacia di nuovi farmaci e delle nuove terapie. Tra questi, molti Magistrati del lavoro che, senza disporre di alcuna competenza e richiedere pareri agli enti preposti (AIFA, Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute, hanno emesse sentenze per obbligare gli Spedali di Brescia a somministrare il cosiddetto metodo Stamina. Un intruglio di cui non si conosce il contenuto, se non quello propagandistico diffuso dal suo ‘inventore’, Davide Vannoni e dal suo vice, Marino Andolina, incriminati dal Tribunale di Torino per truffa e associazione a delinquere.
                                                                                                                           Dario Padovan
Presidente di Pro-Test Italia


domenica 8 giugno 2014

Italia, Paese malato. Non si salva più neanche con le staminali

 Adesso il problema non è più soltanto quello di una nazione che disconosce la ricerca scientifica. Né quello di un sistema impazzito, grazie alla sciagurata riforma del titolo quinto della Costituzione, col conseguente federalismo sanitario. E nemmeno possiamo prendercela più solo con le Iene e con la cattiva informazione. Qui è in gioco la giustizia di questo Paese. La sua sopravvivenza democratica.

 Se un medico sotto processo per associazione a delinquere finalizzata alla truffa viene autorizzato a somministrare ad un bambino gravemente malato un intruglio di cui nessuno conosce la composizione. Se questo medico si presenta in un ospedale pubblico e fa lui stesso la puntura a quel bambino, nonostante la presa di distanza di tutti i medici e della direzione dell'ospedale. Se il parere di un giudice del lavoro, che non risulta essersi avvalso di nessuna perizia medica se non di quella dello stesso dottore inquisito (di cui, per inciso, dice di non sapere che fosse sotto processo) vale di più di quello dell'agenzia nazionale del farmaco e di tutta la comunità scientifica mondiale. Se tutti questi "se", che purtroppo sono la cruda realtà, si verificano tutti insieme, allora c'è da aver paura. Per noi, per i nostri figli e per il futuro di questa povera Italia.

Forse esagera, Elena Cattaneo, quando dice che ieri, a Brescia, è morto lo Stato italiano. Morto no, ma di sicuro gravemente malato. E temo che a questo punto non riuscirà a salvarlo neanche una potente infusione di cellule staminali mesenchimali.

giovedì 5 giugno 2014

Ricerca o animali? Alessandria ha scelto. Di non scegliere

"Ricerca o animali, Alessandria deve scegliere" scrivevo dieci giorni fa su questo blog. Mi riferivo alla polemica esplosa all'indomani di un concerto di raccolta fondi a favore della Fondazione Telethon patrocinato dal comune piemontese. Alcuni esponenti del Movimento 5 stelle si erano arrabbiati perché tale patrocinio andava in contrasto con una delibera, di stampo animalista, in cui il consiglio comunale, all'unanimità, aveva approvato un emendamento dell'esponente del M5S che impegnava l'amministrazione a non concedere patrocini o collaborazioni di sorta a tutte quelle associazioni che per fare ricerca scientifica utilizzano la sperimentazione animale. A meno che, recitava testuale l'emendamento, le stesse associazioni non si fossero "impegnate, per iscritto, a non finanziare alcun progetto di sperimentazione su animali per il presente e il futuro".
La cosa mi era subito suonata strana. Come può la Fondazione Telethon e come lei tutte le associazioni o fondazioni che finanziano la ricerca scientifica in campo biomedico, impegnarsi a non fare più sperimentazione animale? Se lo facesse dovrebbe chiudere bottega il giorno stesso. E chi lo spiegherebbe, in quel caso, ai genitori dei bambini malati, che è arrivato il momento di rinunciare, per sempre, a qualsiasi speranza di cura? Nei fatti, però, aveva ragione il grillino. Perché la delibera era chiara. E quel concerto a favore di Telethon l'aveva bellamente ignorata.
Ho chiamato allora il Comune di Alessandria. Prima ho parlato con una gentile signora dell'ufficio Tutela degli animali, che mi ha inviato il testo della delibera. Poi, dopo qualche giorno di "anticamera", ho avuto una risposta dall'ufficio stampa, che si era consultato con l'assessore Maria Teresa Gotta, che si occupa di Educazione e aggregazione sociale ma ha anche la delega alla tutela degli animali. Niente di scritto, ma una spiegazione telefonica molto chiara, nel suo equilibrismo dialettico. "Il Comune di Alessandria ha rispettato la delibera - mi hanno detto - perché all'associazione a cui era stato dato il patrocinio (Telethon) è stato fatto firmare un documento in cui la stessa associazione si impegna a non utilizzare i fondi raccolti ad Alessandria (ma non altri) per attività di ricerca che prevedano la sperimentazione animale".
Per sicurezza me lo sono fatto ripetere due volte. Ma la linea dell'assessore Gotta è proprio questa. Quindi, ho riflettuto a voce alta con l'addetta stampa del Comune, basta che Telethon usi i soldi raccolti ad Alessandria per comprare, chessò, le provette e i camici degli scienziati, che la forma è salva e gli animalisti sono contenti. Anche se con quei camici e quelle provette gli stessi scienziati fanno i loro bravi test sulle cavie, come i loro colleghi di tutto il mondo. L'importante è che quelle cavie siano state comprate e vengano trattate con i soldi raccolti in qualche altro comune ancora non raggiunto dagli zelanti animalisti grillini.
Dal tono della voce della povera addetta stampa mi è sembrato di intuire un certo imbarazzo. Ma forse mi sbaglio. Fatto sta che prima di salutarci ha voluto precisarmi che "in effetti, il tema è eticamente molto complicato. E che quasi sicuramente la questione non si chiude così". Temo abbia ragione. Morale della favola. Tra i due "litiganti", gli animalisti e l'associazione benefica, il terzo paga: la ricerca.

sabato 24 maggio 2014

Ricerca o animali? Alessandria deve scegliere

Animalisti o ricerca medica? Lega antivivisezione e AgireOra o Airc e Telethon? Sono curioso di capire come risolverà, il Comune di Alessandria, la querelle scoppiata negli ultimi giorni. Ho provato a telefonare, ho parlato con l'ufficio stampa e con l'ufficio comunale per la tutela degli animali: mi faranno sapere lunedì, dopo le elezioni (in Piemonte ci sono pure le regionali). Forse è meglio così, meglio affrontare il problema senza il "doping" della campagna elettorale.

Questi i fatti. Venerdì 16 maggio, al Teatro Alessandrino di Alessandria, è andato in scena “The musical show Love Tour 2014″, con la compagnia artistica Ostinata Passione. Un evento di solidarietà, il cui ricavato è andato alla Fondazione Telethon, che come è noto finanzia la ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare. Come accade sempre per manifestazioni simili, il concerto aveva ottenuto il patrocinio del Comune di Alessandria. Peccato però che lo stesso comune, pochi mesi prima, avesse approvato all'unanimità, con 19 voti su 19, una mozione (la 32/507), presentata dal capogruppo del Movimento 5 Stelle Angelo Malerba, avente per titolo "Alessandria Comune contro la vivisezione". Con la mozione approvata, si impegnava il Comune di Alessandria a non patrocinare nessun evento di associazioni che avessero per finalità la sperimentazione animale nell’ambito di ricerca e nello specifico ”ad evitare qualsiasi patrocinio e collaborazione a qualsiasi titolo, con tutti gli eventi sul territorio atti a promuovere la raccolta di fondi per le associazioni e fondazioni per la ricerca medica, a meno che esse non si impegnino per iscritto a non finanziare alcun progetto di sperimentazione su animali per il presente e il futuro”.

Tra gli enti citati rientrano praticamente tutte le charities che finanziano la ricerca. Dalle big, come Telethon, Airc, Aism, Ail, Fondazione Veronesi, alla miriade di piccole e piccolissime associazioni, formate per lo più da genitori che cercano disperatamente di metter insieme quattrini per pagare gli studi di qualche scienziato che un giorno possa trovare la cura per i propri figli. Tutti quelli che operano in questo ambito sanno che prima che una terapia possa venire sperimentata sull'uomo è indispensabile che questa venga testata sul modello animale (nel 99 per cento dei casi si tratta di topi). Non esiste nessun farmaco, checché ne dicano gli animalisti, che possa essere immesso in commercio senza una sperimentazione sull'animale. E sui banconi delle farmacie non esiste nessuna medicina che non abbia seguito questo iter. Gli anti vivisezionisti dicono che ci sono modi diversi di sperimentare, ma purtroppo questo non corrisponde al vero. A meno che non si decida di utilizzare come cavie gli stessi bambini.

Torniamo ad Alessandria. Il patrocinio dell'evento del 16 maggio era chiaramente in contrasto con la delibera di cui sopra. Ovvio quindi che qualcuno notasse la cosa e protestasse formalmente. Lo ha fatto il Movimento 5 Stelle, come riferiscono alcune testate online locali. Il ragionamento dei grillini non fa una piega: "Riteniamo che gli avvenimenti di questi ultimi giorni ci pongano di fronte ad un ennesimo comportamento contraddittorio da parte dell’Amministrazione. Approvare mozioni per poi andare a disattenderle a distanza di pochissimi mesi, cos’è se non mancanza di coerenza? Ci sorge, altresì, il dubbio che il Sindaco non conosca il contenuto delle mozioni approvate in Consiglio. Il M5S, fin dall'origine contrario alla vivisezione, auspica che il Comune di Alessandria assuma una posizione netta e definitiva su questo tema, in linea con quanto votato dall'intero Consiglio. Unico modo per scongiurare il ripetersi in futuro di analoghe situazioni.”

La palla torna così al Comune. Che, passate le elezioni, dovrà decidere, una volta per tutte, da che parte stare. Se passerà la linea animalista è possibile che nel giro di poco dal no ai patrocini si passi anche al divieto per la concessione del suolo pubblico dei banchetti di raccolta. O, perché no, anche alla chiusura delle associazioni. Così gli anti vivisezionisti avranno giustizia. E Alessandria potrà vantarsi di essere il primo comune "ricerca free"

lunedì 5 maggio 2014

Su Piazza: Spiderciccio, Napoli e dieci chilometri di emozion...

Su Piazza: Spiderciccio, Napoli e dieci chilometri di emozion...: Non mi era mai capitato, di correre piangendo. Di mischiare lacrime e sudore. Di provare così tante emozioni, in soli 10 chilometri. Eppure ...

Spiderciccio, Napoli e dieci chilometri di emozioni

Non mi era mai capitato, di correre piangendo. Di mischiare lacrime e sudore. Di provare così tante emozioni, in soli 10 chilometri. Eppure sapevo che quella di ieri sarebbe stata una giornata impegnativa, ero preparato alla commozione.

Mi ero fatto fare una maglietta ad hoc. Davanti la foto di Ciccio con il pugnetto alzato in segno di vittoria e la maglia della Roja, la nazionale spagnola di calcio, con le firme di tutti i campioni, che aveva ricevuto come regalo poco prima di andarsene. Dietro, avevo fatto stampare la scritta: "Corro per Ciccio e tutti gli altri". Avevo postato su Facebook che avrei partecipato alla Walk of Life di Telethon, a Napoli, la corsa per la ricerca che per l'occasione era stata dedicata proprio a lui, a Francesco, detto Ciccio e recentemente ribattezzato Spiderciccio perché amava l'uomo ragno e in fondo era anche lui un piccolo supereroe. Mi aveva risposto Antonio, il padre: "Speravo venissi. Così finalmente potremo riabbracciarci".

Ero arrivato in treno, mezz'ora prima del via. Giravo per piazza del Plebiscito, una piazza bellissima, colorata, piena di sole, di vita e di amore, così diversa dalle immagini della sera prima, con la curva dello stadio Olimpico, il tifoso con la maglietta della vergogna e le solite scene di guerriglia. Salutavo ex colleghi, ricercatori che conosco da una vita, amici della Uildm e di altre associazioni. Ero contento di vederli, ma sentivo l'ansia salirmi dentro, perché l'ora dello start si stava avvicinando e non avevo ancora incontrato i genitori di Ciccio.

Quando ero ormai pronto, dietro la linea di partenza, insieme ad altre centinaia di persone, ho finalmente visto Antonio, circondato da podisti che lo abbracciavano e si facevano fotografare con lui. Anche loro avevano scritto Ciccio, sulla maglia, mentre quella di Antonio era la stessa che portava Ciccio, nella foto che avevo messo sulla mia. Ho aspettato che salutasse tutti e mi sono avvicinato. Non ci siamo detti nulla. Solo un lunghissimo abbraccio. Lui singhiozzava, io lo stringevo forte ma non piangevo. Mi sembrava di vivere in un sogno, con il tempo che si dilatava. Con tutti gli altri che ci facevano spazio ed applaudivano forte. Non so quanto sia durato quell'abbraccio. Poi non ci siamo detti nulla, tranne che ci saremmo rivisti a corsa finita.

Subito dopo siamo partiti, con lo sparo dello start dato dallo stesso Antonio insieme ad Andrea Ballabio, il capo dei ricercatori del Tigem, un grande scienziato con un grande cuore. E' stato in quel momento, appena passata la linea di partenza, subito dopo aver azionato il cronometro, che le lacrime hanno cominciato a scendere. Ho pensato a tante cose, in quei tre quarti d'ora di corsa. Ad Antonio che singhiozzava, naturalmente. Ai tanti genitori di ragazzi malati che ho conosciuto, da trent'anni a questa parte. Alla loro forza, al loro coraggio. Al vuoto che devono affrontare quando i loro figli se ne vanno. Alla straordinaria lezione di vita che mi hanno sempre dato. Ho pensato a me, al mio lavoro per Telethon e a quello, ancora prima, con la Uildm. Tutte cose che cambiano, si evolvono, ma non finiscono.

Intorno a me c'era una città bellissima. Un lungomare da brividi, con le isole, nitidissime, sullo sfondo. Salite e discese che toglievano il fiato, in tutti i sensi. Napoli, con tutte le sue contraddizioni, la sua passione e la sua allergia all'ordine e alle regole. All'arrivo ero provato ma, vuoi per le lacrime, vuoi per le endorfine, ero molto più sereno di quando ero partito. Ho rivisto Antonio, insieme a Nadia, la moglie. Ci siamo dati appuntamento ai primi di giugno, quando la Walk of life farà tappa a Roma. Poi ho salutato tutti e sono andato alla stazione, per tornarmene a casa.

In treno, ho realizzato di essere molto affamato, perché a digiuno dalla sera prima. Ho aperto il pacco gara e dopo aver mangiato un pacchetto di biscotti ho seriamente rischiato di ingurgitare una confezione di Lenor all'aroma di vaniglia perché le scritte erano troppo piccole e non sapevo fosse un detersivo. Quando ho capito cosa stavo per fare ho cominciato a ridere, come uno scemo. Poi sono crollato addormentato.

mercoledì 30 aprile 2014

Altre storie Invisibili

Leggo che oggi il giornalista freelance, tanto più se vicino alla cinquantina, non può più limitarsi a scrivere e a proporre pezzi. Deve anche promuoversi, farsi pubblicità (quelli bravi dicono fare self branding). Ripensandoci, allora, mi rendo conto che ho scritto parecchio in questo periodo. Qualcosa l'ho pubblicato qui. Molto altro su blog e giornali vari. Ecco intanto una piccola rassegna di quanto uscito su Invisibili-Corriere della Sera (un blog speciale con colleghi eccezionali). Per chi fosse interessato e non lo avesse già letto.

Ho cominciato con una piccola grande storia legata a Stamina (tanto per cambiare): quella di Chiara Mastella, l'angelo dei bambini Sma.

Poi ho raccontato l'esperienza de La grande bellezza, vista con gli occhi chiusi e con l'audio descrizione grazie ad una geniale applicazione.

Passato il 28 febbraio e spenti i riflettori sulla ormai tradizionale giornata dei malati rari ho raccontato una chiacchierata con Renza Galluppi, la presidente di Uniamo, la federazione che raggruppa tante piccole associazioni.

Il 21 marzo, Giornata mondiale della sindrome di down, mi sono imbattuto nell'ennesima bellissima campagna dell'associazione Coordown. Ho provato a capire e a raccontare quale fosse il motivo per cui queste persone bucano lo schermo. E ho continuato ad indagare sulle tracce dei protagonisti di "Hotel 6 Stelle", il programma di Raitre con sei ragazzi down come protagonisti, scoprendo anche che dalla fortunata esperienza televisiva sono nate occasioni di lavoro.

Non poteva mancare, per un fissato della corsa ed obiettore di coscienza come il sottoscritto, un post su un'iniziativa fantastica: il primo raduno degli spingitori di carrozzine, in occasione della prima maratona di Rimini. L'anno prossimo ho promesso che ci vado.

Poi una riflessione su quanto gli smartphone e alcune applicazioni stiano riuscendo a cambiare la vita a persone con disabilità di vario genere e una provocazione a Matteo Renzi.

Infine, fresco di giornata, un post che alla vigilia del primo maggio racconta due buone notizie (in un quadro drammatico)sull'inserimento lavorativo delle persone disabili, a Roma e a Lecco.

Buona lettura e, mi raccomando, condividetemi...

martedì 15 aprile 2014

Sei mesi SU PIAZZA. Mica male!

Qualche giorno fa ho festeggiato i miei primi sei mesi SU PIAZZA. Sei mesi senza un lavoro fisso, un ufficio, dei colleghi, un orario da rispettare, uno stipendio a fine mese. Ma anche - dipende dal punto di vista - sei mesi con la libertà di organizzarmi la giornata, il piacere di accogliere i figli quando tornano da scuola, di andare a trovare un amico, di leggere, di farsi venire nuove idee, di provare a trasformarle in qualcosa che interessi qualcuno. Mi chiedono (e mi chiedo): come sta andando? Che bilancio fare del primo semestre della nuova vita? Visto che sono sul mio blog e che mi sono fatto una domanda, in onore del mitico Marzullo (che una volta intervistò pure il sottoscritto) mi do anche una risposta. E se avete di meglio da fare cliccate pure da qualche altra parte.

Andiamo per punti, con frasi semplici e concise, come ti spiegano quelli che insegnano a scrivere per il web. E visto che siamo in tema proviamo a tirar fuori le parole chiave, le "tag del disoccupato" o per dirla più politically correct del "diversamente occupato (DIV.O)". Così Google ci trova meglio.

Google

Proprio lui, il grande fratello... padre, madre, etc etc. Lui che insieme ai figli nativi digitali mi ha letteralmente salvato la vita il giorno in cui, tutto d'un botto, sono rimasto senza posta elettronica, agenda, rubrica. Importa di qua, sincronizza di là, apri blog, inserisci tag, gestisci account. E' bastato qualche giorno di smanettamento per arrivare a dominare il mondo. Dovunque io sia e in qualsiasi momento.

Social

Se Google mi ha rimesso al mondo in pochi giorni, che dire di Facebook, Twitter e Linkedin? Grazie a loro sono rientrato in società e mi sono accorto di avere molti più amici di quanti ne ricordassi. Addirittura dei seguaci (followers)! Persone che avevo dimenticato (alcuni non li conosco proprio) che nei primi giorni mi hanno riempito di affetto e messaggi di incoraggiamento e poi hanno alzato il pollicino ogni volta che raccontavo quello che stavo facendo. Ormai ci sto prendendo gusto. Prendiamo questo post, ad esempio. Quando lo finisco lo condivido sui social e magari lo "consiglio" a qualche personaggio più seguito di me, che lo ritwitta e mi fa pubblicità. Fantascienza. Se penso alla prima volta che sono rimasto disoccupato (era il 1994, aveva appena chiuso Paese Sera) mi vengono i brividi.

Solitudine

L'altra faccia della medaglia. Centinaia di amici virtuali con cui sei connesso giorno e notte non valgono due chiacchiere davanti alla macchinetta del caffè o il panino al bar col collega che ha voglia di sfogarsi. Non me ne sono reso conto subito, ma della precedente vita lavorativa la cosa che mi manca di più sono proprio le persone. Per fortuna non vivo in isolamento e quasi ogni giorno ho appuntamenti "di lavoro". Ma se l'agenda è libera per troppo tempo mi intristisco. Non c'è Facebook che tenga.

Partita Iva

Avete presente i manuali tipo "come ritrovare lavoro in dieci giorni" o le agenzie di replacement o outplacement che dir si voglia? Ti spiegano come scrivere il cv, come adattarlo agli interlocutori, cosa scrivere nella lettera di presentazione, come contattare i cacciatori di teste, come tampinare per mesi i responsabili delle risorse umane di mezzo mondo. Io non ho fatto quasi nulla di tutto questo. Ho capito quasi subito che non avrei voluto un nuovo contratto a tempo indeterminato e un nuovo datore di lavoro (per esser sincero ho capito anche che probabilmente non lo avrei trovato). Cosa so fare e cosa voglio fare? mi sono chiesto. E ho cominciato a telefonare ad amici, a persone che stimo. Sono andato a trovarle. Ho raccontato le mie vicende e ho provato a capire, insieme a loro, che tipo di attività avrei potuto fare. E siccome il momento è duro per tutti, io che andavo per sfogarmi e farmi aiutare mi sono ritrovato, il più delle volte, a raccogliere gli sfoghi di chi un lavoro ce l'aveva ancora, ma era tutt'altro che felice. Una cosa però mi è stata chiara fin da subito: avrei ri-aperto la mitica partita Iva. E sarei tornato ad essere un free lance.

Idee

Altro vantaggio del diversamente occupato. Essendo in mare aperto e senza giubbotto di salvataggio deve imparare a nuotare molto bene e ad aguzzare l'ingegno. Vietato dormire fino a tardi, girare per casa in pantofole e smettere di farsi la barba. Il DIV.O. deve essere in forma, attento, informato (oltre che connesso e iper-tecnologico). Qui mi sono venuti in aiuto, nell'ordine: mia madre che non mi ha mai permesso di dormire oltre le 7.30 da quando ero alle elementari; il cane che tutte le sante mattine mi viene vicino al letto per farsi portare a spasso; la dipendenza fisica (e psicologica) dalla corsa, che mi riempie di endorfine fino ai capelli e mi rende felice anche se macino centinaia di chilometri al mese; il mio mestiere originario di giornalista e l'abitudine - mai persa - di leggere almeno un paio di quotidiani al giorno, più i siti, i blog, i tg, etc. Tutto questo fa sì che nel giro di sei mesi io abbia già trovato un bel po' di cose da fare e tenga nel cassetto altrettanti progetti e idee rivoluzionarie.

Reddito

Tutt'altro discorso. Il free lance che apre la partita Iva è veramente come un naufrago in mezzo all'Oceano. Sai da dove arrivi ma non sai se, quando e come arriverai. Non basta avere idee, contatti e esperienza. Devi trasformare tutto questo in un contratto, svolgere l'attività che ti sei impegnato a fare e poi parte il vero lavoro: farsi pagare. Possibilmente in un tempo congruo (diciamo prima che nascano i tuoi nipoti o che l'Alzheimer ti faccia dimenticare del lavoro e del compenso da riscuotere). A me, finora, è andata bene. Ma sono solo all'inizio del "naufragio". E la terraferma è ancora lontanissima.

Segnali

Qui smetto di cazzeggiare e racconto velocemente cosa mi è successo pochi giorni dopo aver chiuso col mio precedente lavoro. Ero a casa, erano le tre di pomeriggio. Ho sentito gridare, sono uscito e ho trovato una ragazza che si era impiccata alla balaustra delle scale del mio palazzo. Insieme ad altri condomini l'abbiamo tenuta per i piedi, l'abbiamo tirata su, l'abbiamo slegata, l'abbiamo rianimata con la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco. Dopo tre giorni di coma quella ragazza è tornata in vita e quando è uscita dall'ospedale è venuta a trovarmi per ringraziarmi di averle salvato la vita. Io mi sono messo a piangere, l'ho abbracciata e quando è andata via ho pensato che se quel giorno non fossi stato SU PIAZZA forse quella ragazza non ci sarebbe più.

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lunedì 24 marzo 2014

Vaccini che causano l'autismo. Le colpe dei giornali e dei pm.

Ci risiamo. Basta una denuncia di due genitori, un pm zelante che apre un'indagine e poi si precipita a raccontarla ai giornalisti ed ecco che esplode di nuovo la bufala del vaccino che provoca l'autismo. A niente serve che nelle redazioni ci sia chi conosce bene la storia di Andrew Wakefield il medico inglese che nel 1998 pubblicò su Lancet uno studio su 12 bambini che dimostrava un nesso tra la loro sindrome e la vaccinazione e che nel 2010 fu accusato di frode scientifica e radiato dall'albo perché venne dimostrato che si era inventato tutto per vendere i suoi test sulle cause dell'autismo. Immagino il ragionamento dei capo redattori di turno ieri (si sa, la domenica ci sono meno notizie): "Vaccini che provocano l'autismo? Sono cose che la gente legge". E al redattore "esperto" che provava a spiegargli. "L'Oms mette in guardia? Il medico inglese denunciato? Mettili dentro il pezzo, così nessuno può accusarci di nulla".

E' andata così, basta leggere i quotidiani di oggi. Chi più, chi meno: il titolo sui vaccini dannosi e qualcosa, nel sommario o nell'occhiello, sul parere degli scienziati o dei medici. Qualcuno ha fatto un secondo pezzo virgolettando le parole delle istituzioni sanitarie che parlano di "rischio emergenza sanitaria". Qualcun altro, pubblicando sul web, si è visto arrivare oltre 400 commenti, in gran parte di ricercatori arrabbiati.

Ora, io non so se davvero questa cosa esploderà e arriverà ad essere un'emergenza sanitaria (magari anche questa è un'iperbole del titolista) ma penso che sia davvero grave quello che è successo ieri. Tutti sapevano della bufala inglese (stava sull'Ansa), eppure hanno scelto di sparare la notizia, solo perché un pubblico ministero di Trani ha aperto un'indagine (il che, ricordiamolo, non vuol dire affatto che sia dimostrata la benché minima correlazione tra autismo e vaccini). Non c'è più neanche l'alibi dell'ignoranza (che pure ha una sua gravità). Sapevano di pubblicare un falso e lo hanno pubblicato.E se domani si moltiplicano le denunce di genitori allarmati, tanto meglio. Il giornale potrà cavalcare la notizia.

giovedì 13 marzo 2014

Sindrome di Rett: gli animalisti bloccano la raccolta fondi

Una partita di serie A, un evento collaterale annullato per motivi di ordine pubblico. Roma-Lazio? Milan-Inter? No, Unendo Yamamay Busto Arsizio contro Robur Tiboni di Urbino, campionato di serie A di pallavolo femminile, in programma questo sabato a Busto Arsizio. E l'evento "pericoloso", a margine del match di volley, era nientemeno che una lotteria benefica per l'associazione proRETT. I soldi raccolti sarebbero serviti alla ricerca scientifica su questa malattia genetica, che provoca un grave ritardo mentale e colpisce prevalentemente le bambine. Il motivo dell'annullamento? L'intervento degli animalisti, che hanno boicottato la raccolta fondi perché contrari alla sperimentazione animale praticata dagli scienziati che studiano la Rett (e dalla quasi totalità dei ricercatori in ambito biomedico). Prima con un comunicato della Lav (lega antivivisezione) locale, poi con un bombardamento di email alla società di volley, al suo sponsor e a chi gestisce il palazzetto dello sport, con tanto di foto di animali sventrati. A quel punto gli organizzatori devono essersi ricordati dei recenti blitz nei laboratori nelle università milanesi, o delle minacce di morte inviate via facebook a Caterina Simonsen, la ragazza malata che era intervenuta per difendere la ricerca, e per evitare guai simili hanno deciso, con rammarico, di annullare la lotteria.

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Mi racconta la vicenda Nicoletta Landsberger, una scienziata che da anni si occupa di questa malattia e che ha contribuito alla nascita dell'associazione. Mi spiega che l'organizzazione era cominciata quasi un anno fa. Che grazie alla collaborazione del club di volley e di Yamamay stava venendo fuori proprio un bell'evento. Una squadra di ragazze che aiutavano la ricerca per una malattia che colpisce le bambine. I responsabili dell'associazione stimavano un incasso di 10, 12 mila euro e, ciliegina sulla torta, c'era perfino la diretta televisiva su Raisport. "Ora - mi dice al telefono - i genitori di quelle bambine sono affranti. Non si riescono a capacitare che qualcuno voglia fermare la ricerca sulla patologia che affligge le loro figlie, la loro unica speranza".

Nicoletta, che oltre ad essere una bravissima scienziata è anche una donna combattiva, non si arrende certo. "Quella di oggi è una grande sconfitta - mi dice - ma dobbiamo partire da qui per una grande campagna per il progresso. La posta in gioco è molto più alta della ricerca sulla sindrome di Rett. Se blocchiamo la sperimentazione animale è finita per sempre la ricerca in Italia. E' in gioco la salute dei nostri cari, il futuro del nostro Paese. Non credo si possa più stare zitti".

Neanche io.

lunedì 10 marzo 2014

Stamina, la mia storia - 7) E adesso, quei malati?

"Dobbiamo aiutare i genitori dei bambini malati, quelli che erano in trattamento e che ora che è tutto bloccato non sanno a che santo rivolgersi". Chi mi lancia questo appello, al telefono da Brescia, è uno dei seguaci della prima ora di Davide Vannoni. Uno che aiutò il "professore" a farsi conoscere, ad accreditarsi presso il mondo delle associazioni e delle famiglie coinvolte da una delle tante patologie di cui abbiamo sentito parlare in questo ultimo anno. Poi, mi racconta, ha cominciato a rendersi conto che c'era qualcosa che non andava. E quando ha chiesto spiegazioni è stato tagliato fuori da qualsiasi comunicazione. Ripudiato e minacciato da Vannoni e dai suoi seguaci.

Siamo ai primi di marzo, ormai sono passati due mesi dalla puntata di "Presa diretta" e pur avendo continuato a seguire la vicenda ho cominciato ad occuparmi di altro. Il pensiero di quei genitori e di quei bambini, però, non mi abbandona. Anche perché con alcuni di loro sono rimasto in contatto. Intanto agli Spedali civili di Brescia hanno fermato le infusioni, la Lorenzin ha finalmente nominato il comitato (il terzo, dopo che il primo era stato bocciato dal Tar e il secondo era nato morto a causa di improvvide dichiarazioni e presunti conflitti d'interesse), il giudice Guariniello posticipa la data di chiusura delle indagini, le Iene hanno spostato le telecamere su altre vicende.

Chi non può lasciar perdere ed occuparsi d'altro, però, sono i malati e le loro famiglie. Quelli che avevano cominciato le infusioni a Brescia, quelli in lista d'attesa, quelli che hanno speso soldi in ricorsi e aspettano di avere l'autorizzazione alle "cure". Che ne sarà di loro adesso che il grande inganno è svelato? Su facebook girano tante voci: c'è chi dice che Stamina Foundation sia stata chiusa (in effetti l'ultimo post risale a quasi un mese fa), che sia sfumata anche l'idea di metter su un centro a Capoverde, che qualche paziente abbia fatto le valigie e sia volato in Israele, dove però il medico che somministra le staminali ha poi anche lui stoppato qualsiasi infusione.

La confusione è grande, e per chi convive quotidianamente con patologie devastanti tutto ciò rischia di diventare insostenibile. Che fare allora? Come provare ad aiutarli? Detto che c'è ancora un gruppetto di persone che sostiene Stamina, spiega il mio contatto telefonico, gran parte dei pazienti che aveva affidato a quella presunta terapia le sue speranze ha capito che quella strada non porta da nessuna parte. Solo che ora non sanno cosa fare. "Hanno paura che, avendo appoggiato Vannoni, essendo andati con lui sotto il Palazzo ad insultare i politici, adesso siano tagliati fuori da qualsiasi assistenza. Che gliela facciano pagare".

Io non penso che sia così, lo dico al mio interlocutore. Credo anzi che in questo momento tutti coloro che amministrano la salute pubblica, dal ministro della Salute in giù, abbiano la voglia (e l'interesse) di riportare tutto nei binari della normalità. Mettendo a disposizione quello che esiste, in termini di servizi assistenziali e di conoscenze scientifiche, in primis per i "pentiti" di Stamina. Mi sbaglierò, ma la penso così. E sono disposto anche a vigilare, per quello che posso, perché ciò accada.

Certo, questo non vuol dire promettere cure improbabili, ma assicurare che due genitori che hanno un bambino con una malattia ancora incurabile possano dare al loro figlio tutto quello che, ad oggi, è conosciuto e scientificamente provato. Dedicandogli tutto l'amore che possono senza farsi il sangue ancora più amaro e senza sprecare energie in battaglie impossibili. E' chiaro che non si può chiedere a quei genitori di smettere di sperare in una terapia, di girare di notte su Internet alla ricerca di qualche promettente ricerca. Ma forse, almeno, si può dare loro la certezza di non vedere mai più medici in ospedali pubblici che somministrano pozioni misteriose che neanche loro conoscono. O giudici che obbligano gli stessi medici a violare i loro codici e le loro coscienze. O amministratori che violano le leggi pur di far curare parenti e amici. O programmi televisivi che - in buona o in cattiva fede che siano - alimentino per un anno confusione e disperazione.

giovedì 20 febbraio 2014

I belli della diretta (Beppe Grillo e qualcun altro)

Il momento è solenne. Dovrebbe esserlo. Si parla di cose importanti, che riguardano la vita della gente. Le aspettative sono alte, perché il capelluto protagonista è molto popolare e quello che promette può veramente cambiare il corso dell’esistenza di tante persone. E poi, non se ne può più dei burocrati della politica che pensano solo al loro tornaconto, di istituzioni ciniche, di lobby potenti. E’ arrivato il momento che i cittadini si riprendano quello che è stato loro tolto. Che finalmente i diritti vengano esercitati.

Poi si accende la telecamera e parte la diretta. Com’è bravo, il “guru”, a monopolizzare la scena. Di argomenti, di contenuti, neanche la traccia. Quel che conta è contrapporsi al vecchio, al potere. Qualche slogan, poche parole chiave pensate apposta per lavorare a livello subliminale sull’inconscio degli spettatori. L’interlocutore è ridotto al silenzio. Prova a dire la sua, a stabilire un contatto. Capisce che deve smarcarsi, deve fare qualcosa per uscire dal ruolo che l’altro gli sta cucendo addosso. Quello dell’amico dei potenti, del difensore dello status quo. Vorrebbe replicare, dire che anche lui è vicino alla gente. Che è proprio per loro che sta lavorando. Ma non ci riesce.

Pochi minuti di confronto a senso unico, poi una forzata stretta di mano, la telecamera si spegne e ognuno va per la sua strada. All’uscita dal Palazzo, il “profeta” viene portato in trionfo dai suoi fan. “E’ stato grande professor Vannoni! Li ha davvero distrutti”.

sabato 15 febbraio 2014

Il bambino più forte del mondo

Se n'è andato all'improvviso, lasciando tutti sconvolti. Francesco, detto Ciccio, era un bambino napoletano di sette anni affetto da una grave malattia genetica. Non così grave, però, da portarlo via in questo modo. A Telethon lo avevamo praticamente adottato, e anche dopo essere uscito dalla Fondazione mi tenevo in contatto con Nadia e Antonio, i suoi genitori. Avevano creato una pagina su facebook, l'avevano intitolata "Storia di Francesco" e la popolavano ogni giorno di frasi e foto bellissime, piene di vita e d'amore. Se potete andateci anche voi. E lasciate loro un messaggio.

Comunque non riesco a non pensare a lui, stasera. E ho ritrovato una cosa che avevo scritto, più di un anno fa. La ripubblico qui, di seguito. La dedico a lui, a Ciccio, al bambino più forte del mondo. E ai suoi fantastici genitori.

Il bambino più forte del mondo

L’ultima scena del filmato è ancora negli occhi del pubblico quando si accendono le luci sul palco. C’è un bambino disteso supino, sul pavimento di casa sua. Stende le braccia e tira su un cuscino, con lo sforzo degno di un campione di sollevamento pesi. Qualche fotogramma prima lo si era visto tenere in mano i pupazzi dei super eroi. Hulk, Superman, La Cosa. Come tutti i bambini del mondo, nel gioco li aveva sfidati e battuti. Persino lui, che fatica ad alzare un cuscino.

Nello studio c’è un silenzio assoluto. Il presentatore ne ha visti tanti di video così. Eppure non può farci nulla, la voce gli trema. Le lacrime vanno trattenute perché c’è la diretta televisiva. “The show must go on”. C’è una sorta di salottino, al centro del palcoscenico. Oltre al presentatore c’è lui, Francesco, per tutti Ciccio, “il bambino più forte del mondo”. Ci sono i suoi genitori. Giovani, attenti, emozionati. E poi c’è un signore più anziano. Una bella faccia, uno sguardo rassicurante, occhiali, baffetti grigi. Potrebbe sembrare il nonno di Ciccio. Invece è lui il suo eroe, anche se il bambino non lo sa. Ed è un eroe Generoso, come il nome che porta.

Non è la prima volta che s’incontrano, Francesco e Generoso. Ma questa, anche se sono in tv, presentati da Fabrizio Frizzi e davanti a milioni di spettatori, è sicuramente la meno importante. In comune, “nonno” e bambino, hanno Napoli, la città dove sono nati e vivono entrambi e una grave e rara malattia genetica, la Glicogenosi di tipo II, anche detta morbo di Pompe. Che Generoso studia e combatte da vent’anni. Mentre Ciccio, purtroppo, porta con sé dalla nascita.

Il morbo di Pompe è una patologia ereditaria trasmessa dai genitori che spesso non sanno di esserne portatori, proprio come è successo ad Antonio e Nadia Caputo, il papà e la mamma di Ciccio. E’ provocata dal malfunzionamento dei lisosomi, una sorta di “spazzini molecolari” incaricati di smaltire i rifiuti prodotti dalle cellule. In particolare, in questa malattia, un difetto genetico causa la carenza di un enzima necessario per eliminare uno zucchero, il glicogeno, che quindi, in caso di malattia, si accumula nei tessuti e li danneggia. Il risultato è che muscoli e cuore perdono progressivamente la forza, con conseguente incapacità di camminare ed insufficienza respiratoria.

Nel caso di Francesco i genitori si accorgono che qualcosa non va quando ha 18 mesi e dopo una febbre molto alta smette di camminare. La visita del pediatra, le analisi, le prime paure, il ricordo di altri episodi dei mesi precedenti cui non era stata data importanza. Il primo sospetto si chiama distrofia muscolare. Poi altre analisi, una biopsia muscolare e la diagnosi definitiva. Nel dramma in cui precipita la famiglia c’è però una luce di speranza. Al Policlinico Federico II, Nadia e Antonio incontrano il professor Generoso Andria, che spiega loro che per la Glicogenosi di tipo II esiste un rimedio. Una medicina che si chiama Miozyne, una terapia enzimatica sostitutiva (l’enzima mancante viene reintrodotto via endovenosa), che non cura la malattia ma ne rallenta il decorso e previene i disturbi cardiaci.

La terapia era stata messa a punto pochi anni prima, negli Stati Uniti, da uno scienziato che aveva potuto sviluppare le sue ricerche grazie ai fondi di una piccola azienda farmaceutica, messa su da un uomo i cui due figli erano affetti dal morbo di Pompe (la storia è stata recentemente raccontata nel film “Misure straordinarie”, con Harrison Ford nella parte del ricercatore, ndr). Generoso Andria conosce bene la storia di quella medicina. Nel raccontarla la sua mente torna al 2006, anno in cui nasceva Francesco e in cui dagli Stati Uniti arrivavano le prime notizie sul Miozyne. In Italia invece era scoppiato il caso di Rossella, una bambina napoletana che a soli 9 mesi di vita era stata data per spacciata perché affetta proprio dal morbo di Pompe. I suoi genitori erano venuti a sapere dei promettenti risultati dei ricercatori americani e purché Rossella avesse quella medicina si erano incatenati davanti all’ospedale dove era ricoverata. La cosa finì sui giornali e grazie all’appoggio dell’équipe di Andria e all’intercessione del ministro della Salute la piccola ebbe la sua medicina. Non ce la fece, invece, un’altra bambina, nelle stesse condizioni di Rossella, che si presentò da Andria pochi mesi dopo. Il farmaco non arrivò in tempo e lei morì.

Sono passati sei anni, ma la foto di quella sfortunata bambina è ancora sulla scrivania di Generoso Andria, a ricordargli perché e per chi continuare a lottare. Intanto Ciccio cresce. Non può camminare, ma ha cominciato ad andare a scuola. La sua vita e quella di Antonio e Nadia è scandita dalle terapie. Un’infusione che dura quattro ore, da fare ogni due settimane e una fisioterapia giornaliera.

Anche se i due si vedono raramente il professor Andria continua a stare al suo fianco. Oggi coordina uno studio clinico, finanziato da Telethon, che in quattro centri italiani (Napoli, Firenze, Milano e Pavia) sta sperimentando un farmaco in grado di migliorare gli effetti della terapia enzimatica. Lo studio riguarda tredici bambini. Ciccio è uno di questi.

lunedì 10 febbraio 2014

Stamina, la mia storia - 6) Presa Diretta

Come costruire un’ora e mezzo di programma sulla storia di Vannoni e soci? Il quadro dei fatti lo avevo abbastanza chiaro, per aver seguito la vicenda dall’inizio. Ma all’epoca – eravamo ad ottobre – i punti oscuri erano ancora molti. Grazie alle Iene si conoscevano bene le storie di alcuni bambini malati i cui genitori si battevano per avere la terapia a base di cellule staminali mesenchimali. Si sapeva cosa ne pensasse la comunità scientifica, che aveva trovato spazio più che altro nella carta stampata, oltre che nelle riviste internazionali del settore. Si cominciava anche a conoscere la storia di Davide Vannoni, della sua emiparesi facciale, del suo viaggio in Ucraina, delle prime terapie vendute a Torino e somministrate a San Marino, del passaggio a Trieste, grazie al dottor Marino Andolina e dello “sbarco” a Brescia, dove nonostante lo stop dell’Agenzia del farmaco (Aifa) si continuava a somministrare la terapia in una trentina di casi perché così avevano stabilito alcuni giudici del lavoro.

Ancora tutti da scrivere, invece, erano i retroscena della vicenda. Chi c’era dietro Vannoni e Andolina? Come aveva fatto Stamina ad entrare negli ospedali di Trieste e Brescia? E dal punto di vista scientifico si continuava a non conoscere la composizione della cura miracolosa, che secondo i suoi ideatori era in grado di curare (nei primi mesi della “campagna promozionale”) o di portare miglioramenti (nelle ultime settimane) a migliaia di persone affette da una cinquantina di malattie diverse.

Con Iacona e Liza Boschin, la giovane giornalista a cui era stata affidata la puntata, decidiamo di dividere il tema in tre macro capitoli: la malattia, la scienza e la storia di Stamina. L’obiettivo, semplicemente, era quello di fare chiarezza. Di andare oltre le strumentalizzazioni emotive, di capire e far capire dando voce a tutti: ai malati, pro e contro Stamina, agli scienziati, ai medici, agli scienziati, ai politici.

“Tra i bambini malati e gli scienziati non c’è partita” mi aveva detto un amico autore televisivo “vinceranno sempre i bambini malati”. Ma io ero convinto che raccontando la storia per bene sarebbe venuta fuori la verità. E Presadiretta era il programma giusto per dimostrarlo. Così siamo partiti. Torino, Trieste, Brescia, San Marino, Roma, Milano. Abbiamo tracciato sulla cartina dell’Italia i passaggi della “banda Vannoni” e siamo andati ad incontrare i protagonisti della storia. Avevamo pensato anche di fare una puntata in Ucraina, a vedere la clinica delle staminali in cui Vannoni aveva avuto “l’illuminazione”. Ma ci si è messa di mezzo la rivoluzione e abbiamo lasciato perdere. Il timing prevedeva di chiudere con le riprese entro metà di dicembre per poi riuscire a montare tutto entro i primi di gennaio ed essere pronti ad andare in onda nella prima puntata, il 6 gennaio, nel caso Guariniello avesse chiuso in quei giorni l’indagine giudiziaria.

Una tempistica perfetta, non fosse stato per le notizie che avevano cominciato a uscire, ogni giorno, sulla stampa nazionale e locale e che ci imponevano di rimettere continuamente in discussione la scaletta della puntata e di adeguare i contenuti ai fatti nuovi, che nel frattempo stavano venendo fuori. Le manifestazioni choc dei pro-Stamina, che si dissanguavano e schizzavano di sangue le foto di Napolitano, Letta e Lorenzin. Le sentenze dei giudici, le aperture a Stamina di alcune regioni, la bocciatura della Commissione Lorenzin, la composizione della nuova commissione, i familiari dei malati che mostravano i video con i miglioramenti dei bambini trattati, le prime indiscrezioni che filtravano dalla procura di Torino, i malati che denunciavano di aver pagato decine di migliaia di euro. La nostra puntata era diventata una vera e propria tela di Penelope e noi tre passavamo le giornate al montaggio, con un occhio su agenzie e giornali, un altro su Facebook, i telefoni roventi e gli operatori pronti ad uscire per andare a riprendere qualcosa di nuovo.

Finalmente arriva il 13 gennaio, il giorno della diretta. Si parte alle 21.08, ma cominciamo con sei minuti di ritardo. Iacona decide cosa tagliare e il programma non risente affatto del taglio. Mentre lui conduce la puntata con mestiere e grande bravura, Liza, elegantissima, si prepara per l’ingresso in studio. Io sono al computer, a tener d’occhio le agenzie, le email e i social network. Trovo anche il modo di commuovermi, guardando i video delle mamme dei bambini con la Sma, persone con cui ho condiviso tanti momenti, nel passato. Che il programma stia interessando il pubblico lo capisco da quello che leggo su Twitter. Un diluvio di messaggi di persone che si dicono scandalizzate per quello che stanno vedendo. Via email, invece, prosegue il flusso di attacchi dei pro-Stamina, che era cominciato una settimana prima, non appena era stata annunciata la puntata. Su Facebook invece c’è un sostanziale pareggio. Tra i messaggi ricordo quello di una scienziata italiana, che lavora a Pittsburgh: “Questa sera voi non avete parlato solo del vuoto di Stamina, ma avete ridato dignità alla parola ricerca.

Il giorno dopo si guardano gli ascolti (quasi 8 per cento, un risultato ottimo per Presa Diretta) e si ricevono complimenti e critiche. Mi arriva la telefonata del rappresentante di un’associazione che da tempo si era schierata con Stamina, che si lamenta perché, a suo dire, il programma non aveva dato spazio a tutte le voci dei pazienti. Gli ribatto che le avevamo fatte parlare eccome, le famiglie. Che una eravamo andati a trovarla a casa, mentre altri genitori li avevamo ripresi durante una conferenza stampa a Roma. Lui insiste, dice di aver saputo che prima della trasmissione io mi ero messo in contatto con i genitori di un bambino malato su cui – a detta loro – la terapia stava funzionando e che avevo parlato anche con un medico che testimoniava gli effetti sorprendenti delle staminali sullo stesso bambino. Tutto vero, ma spiego che anche a quel medico avevamo dato parola. Poi mi accorgo che è inutile sperare di convincerlo. Che ormai siamo in guerra e le posizioni sono troppo inasprite per provare ad instaurare un dialogo civile. Siamo nei giorni della controffensiva mediatica. Tutti (o quasi) i giornali e le tv attaccano Vannoni. Persino le Iene prendono le distanze da lui, arrivando a scusarsi con chi, assistendo ai loro servizi, si fosse convinto che Stamina funzionava davvero.

Questo post è tratto in parte da un articolo da me scritto per Vita.it (http://www.vita.it/welfare/salute/stamina-cos-nata-la-trasmissione-verit-di-iacona.html)

martedì 4 febbraio 2014

Politici e scienziati. Il primo post del mio nuovo blog

Da oggi è online RICERCANDO, il mio nuovo blog su Vita.it.

Lo trovate qui: http://blog.vita.it/ricercando/2014/01/31/politici-e-scienziati/

Eccolo, comunque:

L’altra notte ho fatto un sogno. Mi sono addormentato dopo aver letto che i grillini auguravano alla Boldrini di essere stuprata e aver visto le immagini delle solite risse tra parlamentari. Più depresso che scandalizzato ho chiuso gli occhi, ho staccato la spina e sono entrato in un’altra dimensione.

Sono in Parlamento a seguire una seduta della Camera, ma il luogo è diverso da Montecitorio. Meno istituzionale e più sobrio, l’ambiente mi ricorda piuttosto un convegno di scienziati. Ci sono i politici, i nostri rappresentanti, che hanno mediamente vent’anni di meno di quelli veri. Vengono da tutto il Paese e hanno invitato i migliori esperti negli ambiti che verranno trattati. C’è perfino qualche ospite straniero. Hanno preparato un programma di lavori molto serrato in cui discutere di temi importanti e davvero urgenti. Sono previste tre sessioni in cui si parlerà di ambiente, di giustizia, di lavoro. Il primo giorno sarà dedicato all’analisi dei dati e alla presentazione delle strategie messe a punto per risolvere i problemi. Nel secondo giorno si voterà.

Rimango piacevolmente sorpreso dalla puntualità con cui i lavori prendono il via, alle 9 del mattino. I politici hanno fatto colazione insieme, dato un’occhiata alle news sul web. Qualcuno è riuscito persino ad andare a correre, alzandosi all’alba. Si vede che hanno voglia di cominciare. Si parte con la sessione sull’ambiente. I dati sono impietosi. Gli effetti dell’incuria, della speculazione edilizia e delle discariche abusive sono drammatici. Il gruppo di lavoro che ha studiato questi fenomeni – mi pare si chiami commissione – passa ora a presentare le possibili soluzioni. Esordisce con una panoramica su quello che fanno gli altri Paesi che prima di noi hanno affrontato gli stessi problemi. Poi ipotizza tre possibili scenari, con tempi, costi e livelli di efficacia diversi. Per ciascuna strategia viene fissato un obiettivo misurabile. Così, penso, sarà facile capire se funziona ed eventualmente non sarà impossibile correggersi in corsa. Arriva così il momento delle domande e della discussione, a cui viene dedicata un’ora di tempo. Rimango sorpreso per il livello di approfondimento e per quanto vengano sviscerate le singole questioni. Ma ciò che mi sbalordisce davvero è il clima in cui avviene tutto ciò. Più che una seduta del Parlamento ricorda una competizione sportiva: ci si prepara, ci si confronta e poi ci si sottopone al giudizio del giudice o del cronometro. Vinca il migliore, ma anche partecipare è davvero entusiasmante.

Dopo il coffee break si cambia tema e si passa a discutere di giustizia. Ascolto le statistiche sulla durata dei processi e sul sovraffollamento delle carceri. Poi viene chiamato sul palco un professore americano, che racconta in che modo, qualche anno fa, il suo governo ha affrontato e risolto i medesimi problemi. Il dibattito stavolta è più vivace, le posizioni sono più distanti e il moderatore fatica un po’ a far stare tutti nei tempi. Mi rendo conto che il tempo è volato e scopro solo ora che i lavori vengono ripresi da alcune telecamere e sono trasmessi in diretta su Internet.

La seduta continuerà, secondo programma, anche nel pomeriggio. E il giorno successivo, sempre alle 9 in punto, i parlamentari saranno chiamati a dare il proprio parere sulle soluzioni di cui hanno sentito parlare il giorno prima. Concluse le votazioni, è il momento del “verdetto finale”, di capire quali strade sono state scelte e che direzioni prenderà il nostro Paese. Io però non faccio in tempo a saperlo, perché il sogno finisce.

Apro gli occhi e mi rendo conto di aver sognato un incontro tra scienziati invece che una seduta parlamentare. Uno di quei convegni in cui si respirano davvero eguaglianza, trasparenza, giustizia e passione, in cui la parola meritocrazia non è uno slogan da sbandierare, ma qualcosa che esiste eccome.

Riaccendo l’Ipad per leggere il giornale appena uscito. Mi cade l’occhio su “D”, l’allegato settimanale di Repubblica. In copertina c’è la foto di Elena Cattaneo, la scienziata nominata senatrice a vita. Con Elena ci conosciamo da tanti anni. La prima volta, se non sbaglio, l’ho incontrata proprio in una convention scientifica. Apro l’articolo e leggo: “Ci dobbiamo muovere secondo una costruzione logica del ragionamento. In modo da poter aiutare la politica, che oggi è totalmente piegata su se stessa, vittima dei suoi vizi. Credo che ci sia ancora spazio per una politica alta e per dei decisori mossi dalla logica, capaci di guardare alle competenze del Paese e poi di incorporarle nelle loro decisioni”.

Eccolo, il mio sogno. E’ un peccato che non succeda davvero, ma se c’è qualcuno che queste cose le dichiara ad un giornale e se la stessa persona viene addirittura nominata senatore a vita forse non tutto è perduto.Non fa niente se anche il sogno è finto. E se la storiella del convegno politico-scientifico è stata inventata di sana pianta, per avere un post con cui dare il via al mio nuovo blog.

giovedì 30 gennaio 2014

Stamina, la mia storia - 5) Comincia l'inchiesta

Dopo la convention di Riva del Garda, dove eravamo riusciti nello scopo di mettere in contatto i giornalisti con i ricercatori e le associazioni e superato, senza grandi “perdite”, l’assalto via Facebook dei pro-Stamina, come Telethon decidiamo di tirarci fuori dalla mischia mediatica. In fondo quello che dovevamo dire lo avevamo detto. Adesso la palla era in mano alla politica e alla magistratura. Noi ci saremmo limitati ad interagire, come sempre, con i nostri interlocutori naturali: i pazienti, gli scienziati e i nostri donatori. E poi era in arrivo la notizia “bomba” dell’anno: la doppia pubblicazione su Science degli straordinari risultati del nostro istituto di Milano, il successo della terapia genica su due gravi malattie. C’era da scrivere il materiale, da preparare la conferenza stampa, da allertare i giornalisti.

Continuo però a seguire il caso Stamina. Tra rassegna stampa, agenzie, notizie sul web, telefonate e messaggi vari non passa giorno che non venga a conoscenza di qualche nuovo fatto. Anche se ormai lavoro su altro non riesco a staccarmi da questa storia, che sta diventando ogni giorno più assurda. Col ministro Balduzzi che prima chiede consiglio agli scienziati poi fa l’esatto opposto di quello che gli dicono. Con i giudici che ordinano ai medici di somministrare una terapia che non conoscono. Con le Iene che continuano col loro bombardamento mediatico e con decine di comitati Pro-Stamina che spuntano in tutta Italia. Si arriva al paradosso – come mi dirà qualche mese più tardi Umberto Ambrosoli, capo dell’opposizione nella Regione Lombardia – dei medici bresciani. Le istituzioni sanitarie, dopo l’ispezione dei Nas, impongono loro lo stop alle somministrazioni. I giudici fanno l’esatto opposto e ordinano di continuare con le infusioni.

Da giornalista penso a che razza di inchiesta ne verrebbe fuori. E in cuor mio mi mordo le mani per non poterla scrivere io. Quello che posso fare – e che infatti faccio – è di cercare qualche collega che se ne occupi al posto mio. E visto che i giornali li ho sentiti quasi tutti faccio un tentativo con la tv. Il primo con cui ne parlo è Andrea Vianello, da poco diventato direttore di RaiTre. Quando lo incontro lo trovo molto interessato. E ferratissimo sul tema. Mi racconta che anni prima, quando conduceva “Mi manda Rai Tre”, si era occupato di un caso simile, quello dell’azienda svizzera Beike, che prometteva la cura per molte malattie a base di cellule staminali. Anche in quel caso c’era stato il “lancio” delle Iene (che fortunatamente avevano fatto marcia indietro dopo un paio di puntate). E anche allora alcune famiglie disperate si stavano indebitando per andare a far “curare” i propri bambini fino in Cina. Anche grazie a “Mi manda Rai Tre”, che per l’occasione fece intervenire alcuni scienziati esperti di staminali, il Metodo Beike fu stoppato sul nascere. “Questa di Stamina sembra essere proprio la stessa cosa – mi disse Vianello – potremmo occuparcene e la persona adatta potrebbe essere Riccardo Iacona”.

Con Iacona ci eravamo conosciuti qualche anno prima. Lui aveva coraggiosamente costruito un programma, su RaiTre, dedicato agli scienziati ed intitolato “W la ricerca”. Io lo avevo intervistato per il “Telethon Notizie” e lo avevo invitato a partecipare, via Skype, ad una diretta web in occasione della convention degli scienziati di Telethon, a Riva del Garda. Così lo vado a trovare, parlandogli di Stamina e proponendogli di occuparsene, in una puntata di Presadiretta. Siamo nel mese di maggio. Qualche mese più tardi mi richiama e mi annuncia. “Facciamo la puntata”. Nel frattempo è successo che non lavoro più per Telethon e che dopo una decina d’anni passati ad occuparmi della comunicazione di un singolo ente (un’esperienza eccezionale, in un’organizzazione di prim'ordine) e a scrivere più o meno sempre le stesse cose, ora posso tornare ad occuparmi di altro. Così quando Iacona mi propone una consulenza per la puntata su Stamina che andrà in onda a gennaio non ci penso due volte.

Rifletterò più tardi che non era mica tanto vero che mi stavo occupando di altro. Anzi, a ben vedere la mia “fissa” per questa vicenda aveva origini ben più remote della mia collaborazione con Telethon. Risaliva a poco meno di trent’anni prima. Quando avevo passato venti mesi della mia vita con i ragazzi malati di distrofia muscolare e con le loro famiglie. Ero obiettore di coscienza e quello era stato il mio servizio civile. Avevo conosciuto “da dentro” cosa volesse dire convivere con una malattia gravissima e incurabile. Avevo fatto amicizia con tanti ragazzi, che negli anni se ne erano andati quasi tutti. Oggi, passati tanti anni da allora, non potevo sopportare che qualcuno sfruttasse la disperazione e il dolore di quelle persone. Sia che lo facesse per far soldi, che per fare audience. In buona o in cattiva fede.

sabato 25 gennaio 2014

Stamina, la mia storia - 4) Scienziati, pazienti e giornalisti

A Riva del Garda, nel mese di marzo del 2013, si svolge la Convention dei ricercatori finanziati da Telethon, un evento che si ripete ogni due anni. Per tre giorni l'elegante paesino circondato dalle montagne si riempie di scienziati, che fino a sera si confrontano all'interno del palazzo dei congressi per riversarsi poi in massa nei pochi pub e ristoranti del posto.

Ne ho seguite tante, di manifestazioni simili. E tutte le volte sono tornato a casa con sensazioni positive, pensando che sarebbe bello se i miei figli scegliessero la strada della ricerca. Qui si studiano, per curarle, le malattie genetiche. Una missione nobile, in uno dei pochi ambiti in cui parole come competizione, confronto, meritocrazia, cooperazione valgono ancora qualcosa. Mi fa sempre un gran bell'effetto assistere alle sessioni plenarie. Dal palco, di fronte a una platea di centinaia di persone, i ricercatori raccontano ai colleghi gli sviluppi e le prospettive dei loro studi. Parlano in inglese, utilizzano termini scientifici e descrivono progetti molto evoluti. Io non capisco nulla di quello che dicono, ma mi piace vedere il dibattito che segue le relazioni. Le tante domande pertinenti, articolate, che vengono rivolte allo scienziato che sta sul palco e a volte lo mettono in difficoltà. Tutto si svolge in maniera naturale, ordinata e produttiva. Così funziona la ricerca. Ogni idea, progetto, deve passare al vaglio dei colleghi, di persone che a loro volta avranno le loro idee da presentare. Penso a quanto sia raro assistere a spettacoli simili nel nostro Paese. A quanto sarebbe più comodo se tra gli scienziati si stabilisse una sorta di patto di non belligeranza: io approvo il tuo progetto, tu il mio. Siamo tutti contenti e poi magari ci mettiamo d'accordo per far carriera insieme. Non funzionano forse così le cose in Italia? Nella politica, nelle università?

Quest'anno a Riva del Garda ci sono anche le associazioni dei pazienti, venute per incontrare i ricercatori che studiano le loro malattie e per confrontarsi a loro volta sulle iniziative e le istanze comuni. In tutto, tra scienziati e pazienti, ci saranno ottocento persone. Come sempre invitiamo anche un gruppetto di giornalisti, delle più importanti testate, sperando trovino qualcosa che possa interessare i loro giornali. Quest'anno è più facile. E le possibilità che i giornali ci diano spazio sono molto più alte che in passato. E' appena scoppiato il caso Stamina. Sono partiti da poco i servizi delle Iene e sono uscite la lettera di Celentano e la risposta del nostro scienziato (a proposito, avevo personalmente invitato anche l'autore delle Iene, ma non era potuto venire). Nella prima giornata dei lavori organizziamo quindi una tavola rotonda, a cui invitiamo una decina, tra scienziati, medici e dirigenti di Telethon, alcuni rappresentanti di associazioni di pazienti, tutti genitori di bambini malati e il gruppo delle giornaliste (tutte donne).

Ne escono due ore di dibattito molto interessante. I giornalisti sono quasi tutti esperti in materie scientifiche ma di Vannoni e delle cellule staminali mesenchimali sanno ancora poco o niente. Fanno perciò, giustamente, le classiche domande dell'uomo della strada. Gli scienziati spiegano a che punto è la ricerca sulle malattie che Stamina sostiene di poter curare, descrivono gli sviluppi degli studi sulle staminali, le differenze tra le mesenchimali e le altre celllule e si soffermano a lungo su un concetto per loro scontato: nella ricerca o pubblichi i tuoi dati e ti confronti con la comunità scientifica, oppure non esiste. Ergo: "Stamina, per noi, non esiste. Checché ne dica la televisione".

Mi colpisce la testimonianza del padre di una bambina con la SMA, una delle (tante) malattie che Vannoni sostiene di poter curare. Racconta della drammatica spaccatura, avvenuta poche settimane prima nella sua associazione, tra genitori pro e contro Stamina. Delle accuse, dei toni violenti, della rabbia che si era aggiunta alla sofferenza. Lui era tra quelli che avevano scelto di continuare a seguire i medici e gli scienziati che si erano presi cura di sua figlia, da quando era nata. Queste le sue parole: "La disperazione di noi genitori è grande. Il bisogno di credere in qualcosa si fa sentire quotidianamente. Ma con quale diritto diamo il consenso sul corpo dei nostri bambini a sperimentazioni che non hanno alcun riscontro? Forse la loro vita vale meno perché sono malati? Il loro destino è morire e quindi possiamo permetterci di saltare ogni regola?".

Dopo il dibattito i lavori della Convention continuano e i giornalisti vanno a scrivere i loro pezzi. Il giorno dopo i principali quotidiani daranno spazio, per la prima volta da quando era esploso il caso, al parere dei ricercatori (a parte il Corriere della Sera che aveva pubblicato la risposta di Naldini a Celentano). Scienziati, pazienti e giornalisti si scambiano indirizzi email e numeri di telefono. E' l'inizio della controffensiva mediatica. Ma la "battaglia" a favore della scienza e delle persone malate sarà ancora molto lunga.

domenica 19 gennaio 2014

Stamina, la mia storia. 3) Nella tana delle Iene

La risposta di Luigi Naldini alla lettera di Celentano provoca, come prevedibile, la reazione delle Iene e dello stesso cantante. "Perché vi siete messi in mezzo - ci rimprovera l'autore del programma di Italia 1 con cui eravamo in contatto - chi ve lo ha fatto fare?". Obiezione tutto sommato sensata, se si pensa ai possibili contraccolpi sull'immagine della Fondazione e sulla sua raccolta fondi. E infatti dopo che le Iene, nella puntata successiva, tirano fuori il nostro "carteggio" con Celentano, con lo stesso artista che ci bacchetta perché "con tutti i soldi che raccolgono potrebbero pensare a salvare qualche bambini", da facebook cominciano a piovere gli insulti. "Non vi sostengo più", "Vergogna, invece di finanziare la ricerca vi mettete contro i bambini malati", è il tono dei tanti post che popolano le nostre pagine.

Il colmo, venire accusati di ostacolare la cura di malattie come la Leucodistrofia metacromatica, con tutti gli sforzi che stanno facendo i nostri scienziati. Eppure è proprio ciò che accade. Decidiamo allora di scrivere la nostra posizione e di farla girare su Internet. "Noi siamo dalla parte dei bambini malati e delle loro famiglie - specifichiamo - è per loro che esistiamo e per loro che finanziamo la migliore ricerca". Il comunicato spiegava poi che se ci eravamo permessi di mettere in guardia da facili entusiasmi era perché il mondo scientifico impone che si rendano noti i risultati del proprio lavoro, soprattutto quando questi sono così promettenti come sostenevano quelli di Stamina. Ma della loro "terapia", gli scienziati non sapevano nulla.

Sono i giorni in cui il ministro della Salute, Renato Balduzzi, da l'impressione di non sapere come gestire la patata bollente che si è trovato tra le mani. Vuole aiutare Sofia, anche perché è stufo di essere massacrato dalle Iene. Ma si rende conto che non può autorizzare una cura che nel frattempo è stata bocciata dall'Aifa e andar contro alla comunità scientifica, che nel frattempo ha cominciato a far sentire, in maniera netta e chiara, il suo parere contrario alla somministrazione di qualcosa che non si conosce. A complicare la cosa ci si mettono i giudici del lavoro, che in alcuni casi danno ragione ai familiari dei bambini malati (non c'è solo Sofia) e intimano all'Ospedale di Brescia di continuare il trattamento.

Mentre Stamina comincia ad entrare nelle stanze della politica, a Telethon arriva intanto l'offerta delle Iene ad un confronto televisivo nel quale chiarire la propria posizione. Un nostro rappresentante sarà intervistato da Giulio Golia e potrà dire ciò che pensa. Ci rendiamo conto di quanto sia rischiosa, un'intervista con le Iene. E avendo anche noi una certa esperienza televisiva sappiamo che con un sapiente lavoro di montaggio si può alterare il senso di un'intervista. Eppure decidiamo di andare e stabiliamo che a parlare sarà per noi un nostro consigliere di amministrazione, affetto lui stesso da una malattia genetica. Concordiamo le domande e ci diamo appuntamento in un albergo romano.

Il messaggio che vogliamo dare è lo stesso che abbiamo scritto nei comunicati. "Noi siamo dalla parte degli ammalati e della buona ricerca scientifica. Di Stamina non possiamo parlare, né bene né male, perché non sappiamo cosa sia". C'è tensione, durante l'intervista, ma sembra filare tutto liscio. Fino a quando non arriva la "sorpresa". Giulio Golia domanda al nostro rappresentante se allora, visto che non c'è niente contro Stamina, Telethon avrebbe niente in contrario ad un incontro con Vannoni. "Niente in contrario", rispondiamo. Golia pare soddisfatto: "Bene, si dà il caso che Vannoni sia a Roma, proprio da queste parti, vi dispiace se lo chiamiamo e gli diciamo di raggiungerci?".

"Ma guarda che coincidenza - faccio io - una vera carrambata" (la mia frase evidentemente piace agli autori delle Iene perché sarà poi messa in onda). Sta di fatto che nel giro di dieci minuti si presenta Davide Vannoni e quella che doveva essere un'intervista per spiegare le nostre ragioni diventa un faccia a faccia col fondatore di Stamina. Al quale, comunque, ribadiamo che non c'è nulla di personale nei suoi confronti ma che magari dovrebbe rendere noto il suo "metodo" e pubblicare i suoi dati, prima di chiedere ad un ospedale pubblico di somministrarlo a tanti bambini con malattie molto diverse tra loro. Vannoni non fa una piega: "Il metodo è pubblico - risponde - C'è il brevetto su Internet, basta cercarlo". Peccato che ancora oggi, a quasi un anno da quel giorno, nulla su Stamina sia stato pubblicato (a parte le indiscrezioni sugli atti - secretati - della prima commissione nominata Lorenzin) e che il brevetto a cui si riferiva Vannoni era in realtà una domanda di brevetto, bocciata negli Usa e in Europa.

Il servizio delle Iene finisce comunque con Vannoni e il rappresentante di Telethon che si stringono la mano. Pace fatta, insomma. E infatti da quel giorno gli attacchi su Facebook si riducono di molto.

martedì 14 gennaio 2014

Stamina, la mia storia - 2) Sofia e il Molleggiato

Tutto comincia in un pomeriggio dello scorso mese di marzo. Sono seduto a leggere email nel mio ufficio della sede romana della Fondazione Telethon. Entra un collega che mi parla della trasmissione delle Iene, che ha visto la sera prima. “Hanno raccontato la storia di Sofia, una bambina colpita da leucodistrofia metacromatica. I suoi genitori vogliono che le vengano infuse le cellule staminali, ma il ministro Balduzzi non lo permette”. Guardo poco la tv e seguo ancora meno le Iene, ma la notizia mi colpisce, perché la malattia di Sofia è una di quelle su cui gli scienziati di Telehton lavorano da più tempo. Ne abbiamo seguiti tanti, di bambini come Sofia. La sua è una malattia bastarda. Si manifesta a pochi mesi dalla nascita e porta alla morte nel giro di qualche anno, dopo che i bambini hanno progressivamente perso tutte le funzioni motorie e cognitive. Ne abbiamo visti tanti, di questi bambini. Sono venuti in tv, con i loro genitori, che si prestavano coraggiosamente a far da testimonial per la ricerca, pur sapendo che questa non avrebbe fatto in tempo a salvare i loro figli. Tutto ciò fino al 2010. Quell’anno, presso il nostro istituto di Milano era partito il primo trial clinico (sperimentazione sui bambini) della terapia genica che aveva avuto risultati straordinari sui modelli animali. Tre bambini, un libanese, un americano e un egiziano, si sottoponevano per la prima volta nel mondo ad una sperimentazione avveniristica. Le loro cellule staminali del sangue sarebbero state prelevate dal midollo osseo, poi in esse sarebbe stata introdotta una copia corretta del gene difettoso che sarebbe stato reinfuso, utilizzando come vettore il virus dell’Aids opportunamente “disattivato”. Quel giorno di tre anni prima, di fronte alle telecamere, Alessandra Biffi, la ricercatrice che lavorava all’esperimento, aveva pianto. Si era commossa pensando alle prospettive della ricerca e ai tanti bambini che purtroppo non erano arrivati in tempo. “Questa è una ragione per essere al mondo – aveva detto – e non so se riuscirei a continuare, nel caso il trial dovesse fallire”. Accadeva nel 2010. E nel 2013, passati tre anni dall’avvio della sperimentazione, avevamo la conferma che questa stava funzionando. I tre bambini stavano bene. Aspettavamo con ansia che la rivista Science, a cui era stato mandato il paper con la descrizione del trial, desse il via libera alla pubblicazione, per organizzare una grande conferenza stampa, in cui annunciare al mondo questa meravigliosa notizia. Insomma, con la leucodistrofia metacromatica giocavamo in casa, ma né noi, né tantomeno i nostri scienziati abbiamo mai sentito parlare del metodo Stamina e del professor Davide Vannoni. Con il collega ci riguardiamo su Internet la trasmissione delle Iene. Ne abbiamo viste tante, purtroppo, di storie simili. In tanti anni di lavoro per Telethon abbiamo imparato che è delicatissimo maneggiare le notizie che riguardano la salute delle persone, soprattutto quando si tratta di bambini. E di malattie inguaribili e poco conosciute. Quante volte avevamo letto titoli di giornali che annunciavano la cura, quando invece la ricerca si era limitata (e non è poco) a trovare il gene responsabile o a svelare i meccanismi cellulari. In quei giorni il nostro centralino veniva bombardato di telefonate: “Avete sentito?”, “Come faccio ad avere la cura?”, “Si applica pure alla malattia di mio figlio?”. E noi a spiegare, a scrivere comunicati, a raffreddare gli entusiasmi di genitori entusiasti. Finita la visione del lungo servizio televisivo il mio collega mi dice di essere amico di uno degli autori delle Iene. Gli dico di chiamarlo, per saperne di più. Si scopre così che l’amico è proprio l’autore del pezzo. E questi ci annuncia, in anteprima, di esser stato chiamato da Adriano Celentano, che ha visto la trasmissione, si è indignato per la bambina a cui viene negata la terapia e vuole scrivere, su questo, una lettera al Corriere della Sera. Grazie al nostro lavoro di ufficio stampa abbiamo molti contatti con il giornale di via Solferino. Perciò chiamo subito la redazione, cercando di parlare con qualcuno della direzione. Racconto del servizio delle Iene e della storia di Sofia e spiego che, da quanto ne sappiamo, sta per arrivare una lettera di Celentano. “E’ una materia delicata – dico accalorandomi al telefono – di quella terapia nessuno sa nulla. Bisogna stare attenti a non dare false aspettative. E poi c’è una ricerca molto promettente”. So, per aver lavorato in un quotidiano, che nessuno rinuncerà mai alla lettera aperta di un personaggio così famoso. Punto perciò ad avere spazio per un intervento di taglio più scientifico. Un pezzo, da mettere accanto a quello del Molleggiato, per spiegare meglio la malattia e lo stato della ricerca. Ma evidentemente Celentano ha chiesto l’esclusiva. E dal Corriere ci concedono solo un boxino di due righe, in fondo alla sua lettera, in cui si annuncia che il giorno successivo ci sarà la replica di Telethon sull’argomento. All’indomani leggiamo la lettera di Celentano, che racconta la storia di Sofia, accusa in maniera diretta il ministro della Salute, Renato Balduzzi e chiosa: “E’ per storie come queste che alle elezioni ha vinto Beppe Grillo”. Noi intanto lavoriamo alla nostra contro-replica. Decidiamo che la firma dovrà essere quella dello scienziato che dirige la sperimentazione sulla leucodistrofia e che il tono dovrà cercare di non essere offensivo. Ma il senso sarà chiaro: “Caro Celentano, lascia fare la ricerca agli scienziati”. La lettera di Celentano La risposta di Telethon http://www.corriere.it/salute/13_marzo_07/telethon-lettera-staminali_f74b40e2-870b-11e2-82ae-71d5d7252090.shtml

Stamina, la mia storia - 1) Cosa c'è da salvare

Terapie “miracolose” somministrate in ospedali pubblici senza che nessuno ne conosca la composizione. Malati che si dissanguano e si crocifiggono perché le stesse terapie vengano fornite a tutti, anche se sanno bene che per la loro malattia non servirebbero a nulla. Giudici che si sostituiscono ai medici e impongono le cure da somministrare, altri giudici che bocciano il parere di fior di scienziati perché nella commissione da loro formata non è stata rispettata la par condicio (erano tutti convinti che due più due fa quattro e non ce n'era nemmeno uno che sosteneva che facesse cinque). Giornalisti o pseudo tali che al grido di "noi raccontiamo soltanto una storia" creano un movimento d'opinione intorno ad una bufala cosmica e sacrificano sull'altare dell'audience decine di famiglie già provate da malattie devastanti. Uno vede il caso Stamina ed ha l'ennesima conferma che l'Italia è un Paese alla frutta, che magari i figli se ne vadano a studiare all'estero e che chissà che un giorno non li raggiunga pure io. Eppure, forse, qualcosa da salvare c'è, in questa pazza e italianissima storia. E nel racconto della mia personale avventura con Stamina voglio partire da lì. Dalle tante famiglie con bambini affetti da gravissime patologie degenerative che hanno cercato di difendere la verità - e cioè che per i loro figli purtroppo una cura non c'è ancora, ma che se li si accudisce con l'aiuto di medici e terapisti possono vivere in maniera dignitosa le loro difficili vite - dagli attacchi di altre famiglie che, pompate dai re dell'audience, li accusavano di volere la morte per i propri figli. Oppure da quelle famiglie che hanno tentato con Stamina, perché in mancanza di soluzioni uno le prova tutte, ma non per questo hanno preso ad insulti, attraverso i social network, chi invece non ci credeva. E che dire degli scienziati e dei medici. Ne conosco alcuni che hanno sacrificato giornate e nottate per rispondere colpo su colpo alle panzane di Davide e Golia (lo psicologo esperto di mesenchimali e l'anchorman che racconta solo una storia
), per metter su una vera contro-inchiesta giornalistica aspettando che i giornalisti veri si svegliassero o per svegliarli direttamente, quando capivano che il sonno era troppo profondo. Giornalisti, anche tra loro c'è stato qualcuno che si è appassionato alla questione. A parte gli addetti ai lavori, che per mesi hanno predicato nel deserto, c'è stato da subito chi ha capito cosa stava avvenendo e si è messo al lavoro per raccontarlo. Ma si è trattato, purtroppo, di mosche bianche, soprattutto in ambito televisivo (che in Italia, Berlusca docet, è quello che conta). Tra le cose che mi hanno sorpreso in positivo voglio citare un ministro, anzi una ministra. Al di là delle azioni politiche, che mi sono sembrate tutte (o quasi) dettate dal buon senso, mi ha colpito la passione. Magari mi sbaglio, ma guardandola, da vicino, durante un'intervista, ho visto in lei la fatica per la gestione di una patata bollente come poche, ma anche la determinazione di chi vuole superare gli ostacoli, per quanto ardui essi siano. E l'impegno, che ha promesso (e su cui la aspettiamo al varco) per far sì che da subito si crei una rete di sostegno per le famiglie dei malati. Un intervento concreto per combattere la solitudine e l'abbandono, che poi sono le cause vere che fanno nascere e crescere i Vannoni di turno.